Non era imprevisto: da tanto tempo i movimenti Pro Vita lavorano sulla rete per ripristinare l’antica linea cattolica conservatrice, un tempo cavallo di battaglia dell’onorevole Carlo Casini.
Tra le tante cose che ci tocca recuperare da un passato che credevamo, appunto, passato, c’è tutta intera la “questione donne” – oggi a rischio – ma in particolare la questione dei “diritti di maternità” in riferimento alla libertà delle donne come persone e cittadine.
Torniamo pure indietro, anche se solo con le domande, perché sulla 194 – il ministro Fontana si rassegni – non si torna indietro. Seguo il metodo femminista e parto da me: anch’io sono contro l’aborto; suppongo che personalmente non avrei abortito. Tanto più che nessuno mi avrebbe obbligata. A Verona sanno che divorzio e aborto non obbligano nessuno, nemmeno il democristiano plurifamigliare, a divorziare, o la ragazza imprudente ad abortire? Ma si chiedano, quando non c’era la legge, che cosa succedeva anche a casa loro. C’era la clandestinità, migliaia di casi di disperazione segreta, di tentativi domestici tipo ferri da calza, di morti coperte da falsi certificazioni di medici pietosi. La legge era dunque necessaria come lo è in tutti i paesi; per lo meno finché la maternità non sarà libera dalla casualità e irresponsabilità del costume maschile irrispettoso della libertà femminile.
Non è solo l’Isis che disprezza il corpo della donna fino a schiavizzarlo: abbiamo avuto anche in Italia casi di ospedalizzazione. Perché per difendere la vita Verona non invita Nadia Murad – Nobel 2018 condiviso con il medico congolese che “ripara uteri e intestini e uretre devastati dagli stupri di guerra – una ragazza yazida dell’Iraq, dove i sunniti dell’Isis perseguitano gli infedeli con stragi e massacri: risparmiano le donne per una sorte forse peggiore di abusi di gruppo e torture, di cui Nadia ha fatto purtroppo l’esperienza, che con estremo coraggio ha denunciato al mondo anche con un libro. Chieda Verona a Nadia se la 194 è contro la vita e se non è vero che il primo oltraggio alla vita è la guerra.
Aggiungo la domanda che si faceva una volta: ma davvero c’è qualcuna che pensi che l’individuo donna vuole davvero abortire, se non va volentieri nemmeno dal dentista? Siccome, però, intervengo oggi, anno di grazia 2018, la domanda è un’altra: ma a Verona nessuno sa che esiste la pillola del giorno dopo e che su internet si trova la pillola abortiva? Legittimo non sapere che diventerà tutto privato? Uscire dal Medioevo signfica sapere che i problemi sono più complessi, a seconda che a pensare, sempre che qualcuno pensi, sia una donna o un uomo. Infatti, moralmente, secondo l’etica femminista, ma anche secondo la salute del corpo, è giusto che i maschi possano finire per far prendere alle ragazze l’abortiva due volte l’anno?
Ma a Verona forse non possono capire. A Verona restano nell’ipocrisia, ahimè più cattolica che laica (anche se…). Infatti la difesa della vita Verona la intende come aiuto alle famiglie che desiderano un bambino da adottare: l’Associazione “Culla segreta”, lungi dall’aiutare la maternità biologica, segue l’indirizzo storico ben noto di salvare un embrione, che va portato a termine nel corpo di una donna mantenuta fino alla nascita di quello che sarebbe il “suo” bambino, avendola convinta a non riconoscerlo, a rinunciare ad allevarlo, esattamente come fa una madre “surrogata” la cui legittimità si supppone a Verona non sia riconosciuta. In secondo luogo bisognerà domandare: che significato ha la pretesa, approvata in Consiglio, di adottare lo slogan “Verona città che difende la vita”? Che le altre città sono favorevoli alla morte? Che la vita è solo biologica? Che la vita non riguarda i genitori, anzi solo il genitore che partorisce, perché dell’altro non si fa menzione? Verona crede dunque alla partenogenesi territoriale?