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Quel che c'è da sapere su Europa e donne

Non esiste ancora una vera visione di genere. Ma molto è stato fatto e le cittadine devono chiedere l'applicazione delle risoluzioni già varate

Quel che c'è da sapere su Europa e donne
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13 Aprile 2019 - 13.36


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di Giancarla Codrignani

La conoscenza dell’Europa da parte delle donne – a partire da me – è stata fino ad oggi troppo scarsa; e anche per questa ragione non esiste ancora una “visione” di genere della non ancora realizzata Federazione Europea in cui, dopo otto elezioni, le donne faticano a starci. Potrà servire per conoscere qualcosa di più prima di andare a votarla?


Questa recensione – disordinata, casuale, e tutt’altro che esaustiva – rappresenta un esercizio di lettura non del tutto incoraggiante, perché dietro il formalismo burocratico fa capire – ancor più che nel rapporto con i Parlamenti nazionali – che è necessario penetrare le istituzioni per renderle “nostre” non solo teoricamente. Infatti si constata l’opposizione dei Paesi membri ad alcuni diritti democratici a cui le elette (e gli eletti) non possono far fronte senza che nei Parlamenti nazionali non si chieda di applicare le risoluzioni varate e di secondare gli indirizzi politici già definiti.

 

Due giorni fa l’onorevole Patrizia Toia ci ha mandato notizia dell’approvazione in via definitiva delle nuove misure per facilitare la conciliazione tra lavoro e vita famigliare: la direttiva stabilisce per tutti gli Stati membri, nel tentativo di aumentare le opportunità delle donne nel mercato del lavoro e rafforzare il ruolo del padre o di un secondo genitore, a beneficio dei bambini e della vita familiare:

1) almeno 10 giorni lavorativi di congedo di paternità retribuito per i giorni vicini alla nascita ad un livello non inferiore all’indennità di malattia (in Italia il congedo è di 5 giorni, più un giorno facoltativo previo accordo con la madre e in sua sostituzione);

2) due mesi di congedo parentale non trasferibile e retribuito e sarà un diritto individuale;

3) la fissazione di un livello adeguato di retribuzione per il periodo minimo non trasferibile di congedo parentale, tenendo conto del fatto che questo spesso comporta una perdita di reddito per la famiglia e che invece anche il familiare più retribuito (spesso un uomo) dovrebbe potersi avvalere di tale diritto;

4) 5 giorni all’anno di congedo per i lavoratori che prestano assistenza personale a un parente o a una persona che vive nella stessa famiglia a causa di un grave motivo medico o infermità connesse all’età;

5) lavoro flessibile: i genitori e i prestatori di assistenza che lavorano potranno richiedere modalità di lavoro adattabili, ricorrendo al lavoro a distanza o a orari flessibili per poter svolgere le loro mansioni;

6) i datori di lavoro potranno tener conto non solo delle proprie risorse, ma anche delle esigenze specifiche di un genitore di figli con disabilità, o una malattia di lunga durata, e dei genitori soli.


Come sempre sono misure che l’Unione europea impone a tutti gli Stati membri, ma non si realizzano da Bruxelles se manca la conoscenza del diritto nei diversi paesi dalle forze interessate. Le cittadine e i cittadini si debbono attrezzare per ottenerne l’applicazione da parte degli Stati.


La Commissione FEMM e le Agenzie ed Istituti orientati a valorizzare i diritti delle donne sono ben inseriti nel contesto del Parlamento Europeo: sono costati un lavoro continuo alle legislatrici europee per ottenere in questi quarant’anni l’implementazione crescente dei diritti di genere. La sostanza dell’impegno deve continuare a far riferimento all’impianto teorico dei principi acquisiti, ma – nel nuovo Parlamento che presumibilmente non favorirà l’iniziativa democratica – deve cercare di dare effettività concreta ad una “politica di genere” derivata dalla costruzione di reti fra le parlamentari europee e le nazionali, ma soprattutto dalla sollecitazione culturale attiva delle donne sempre più messe alla prova nelle diverse società. Non possiamo permetterci di arretrare e, anche se il linguaggio dei dati è pieno di condizionali (“si dovrebbe”), di rinvii, di dissolvenze, le risoluzioni a nostre favore già varate vanno assolutamente pretese nei Parlamenti nazionali e sostenute nel dibattito politico.

D’altra parte è così per tutte le politiche europee: l’intento originario della democrazia perfetta ha indotto a scegliere il criterio dell’unanimità decisionale, che di fatto garantisce non la concordia delle mediazioni, ma l’irrisolutezza dei tempi biblici (e la sfiducia dei cittadini). L’esercizio critico, quindi, rimanda alla necessità dell’impegno politico: per tutte le situazioni va rivolto prioritariamente al contesto europeo. Con grande attenzione alle politiche di genere e alla responsabilità della comunicazione e correlazione tra noi e chi lavora a Bruxelles per i nostri diritti. Dagli atti finora sono state poche le parlamentari impegnate nella Commissione FEMM: le più politicamente e tecnicamente competenti preferiscono il lavoro nelle Commissioni “importanti” neutre e contribuiscono a ghettizzare il “genere”. E il diritto europeo che aspirerebbe all’universalità, procede immutato: nelle crisi le cose cambiano, non necessariamente in peggio.

Alla vigilia delle elezioni più impegnative di queste otto trascorse, credo che sia meglio conoscere, almeno per prevenire i danni…

Per saperne di più:

 

risoluzione del 10 marzo 2015 sui progressi concernenti la parità tra donne e uomini nell’Unione europea;

 

risoluzione dell’8 marzo 2016 sull’integrazione della dimensione di genere nei lavori del Parlamento europeo (gender mainstreaming);

 

risoluzione del 13 settembre 2016 sulla creazione di condizioni del mercato del lavoro favorevoli all’equilibrio tra vita privata e vita professionale;

 

risoluzione del 14 marzo 2017 sulla parità tra donne e uomini nell’Unione europea nel 2014-2015;

 

risoluzione del 14 marzo 2017 sull’applicazione della direttiva 2004/113/CE del Consiglio che attua il principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso a beni e servizi e la loro fornitura;

 

 risoluzione del 3 ottobre 2017 sull’emancipazione economica delle donne nel settore pubblico e privato nell’UE;

 

risoluzione del 13 marzo 2018 sull’uguaglianza di genere negli accordi commerciali dell’UE;

 

risoluzione del 17 aprile 2018 sulla parità di genere nel settore dei media nell’Unione europea; 


risoluzione del 17 aprile 2018 sull’emancipazione delle donne e delle ragazze attraverso il settore digitale;

 

risoluzione del 31 maggio 2018 sulla parità di genere ed emancipazione femminile: trasformare la vita delle donne e delle ragazze attraverso le relazioni esterne dell’UE 2016-2020;


– 
risoluzione del 15 gennaio 2019 sull’integrazione della dimensione di genere al Parlamento europeo, in cui ribadisce ancora una volta il suo impegno a favore dell’uguaglianza di genere sia nel contenuto delle politiche, delle iniziative e dei programmi dell’UE sia a tutti i livelli politici, di bilancio, amministrativi ed esecutivi dell’Unione;


risoluzione del 14 marzo 2017 sulla parità tra uomini e donne nell’UE 2014-2015;


risoluzione dell’11 settembre 2018 sulle misure per prevenire e contrastare il
mobbing e le molestie sessuali sul posto di lavoro, nei luoghi pubblici e nella vita politica nell’UE;


risoluzione del 7 febbraio 2018 sulla tolleranza zero per le
mutilazioni genitali femminili (MGF);

 

risoluzione del 4 ottobre 2017 sull’eliminazione del matrimonio;


– 
direttiva 2004/113/CE, del 13 dicembre 2004, che attua il principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso a beni e servizi e la loro fornitura;


– 
direttiva 2010/18/UE, dell’8 marzo 2010 (come modificata alla fine del 2013), che attua l’accordo quadro riveduto in materia di congedo parentale e abroga la direttiva 96/34/CE (direttiva attualmente in fase di revisione);

 

– direttiva 2010/41/CE, del 7 luglio 2010, che stabilisce gli obiettivi relativi all’applicazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne che esercitano un’attività autonoma, ivi comprese le attività nel settore agricolo, e relativa altresì alla tutela della maternità, e che abroga la direttiva 86/613/CEE del Consiglio;


direttiva 2011/99/UE, del 13 dicembre 2011, che istituisce
l’ordine di protezione europeo allo scopo di proteggere una persona da atti di rilevanza penale compiuti da un’altra persona tali da metterne in pericolo la vita, l’integrità fisica o psichica, la dignità, la libertà personale o l’integrità sessuale, e che consente all’autorità competente di un altro Stato membro di continuare a proteggere la persona all’interno di tale altro Stato membro. La direttiva è rafforzata dal regolamento (UE) n. 606/2013 del 12 giugno 2013 relativo al riconoscimento reciproco delle misure di protezione in materia civile;

 

– direttiva 2012/29/UE, del 25 ottobre 2012, che stabilisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI.

 

 

 

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