Reddito di libertà per le vittime di violenza | Giulia
Top

Reddito di libertà per le vittime di violenza

Parte dalla Sardegna una "legge di civiltà". Il Comune di Olbia: "È stato dato ascolto ai centri antiviolenza" [di Mariagrazia Marilotti]

Reddito di libertà per le vittime di violenza
Preroll

Redazione Modifica articolo

9 Luglio 2019 - 18.36


ATF

 

di Mariagrazia Marilotti


Un reddito di libertà per le vittime di violenza di genere. Parte dalla Sardegna un’innovativa misura, un  modello integrato, frutto di un accordo bipartisan. Infatti la legge è stata approvata all’unanimità nel 2018 dalla Regione a guida centrosinistra e la prima firmataria è stata Alessandra Zedda, Forza Italia e attuale assessora regionale del Lavoro nell’attuale Giunta di centrodestra.
Un sostegno economico per dare la possibilità  concreta a compagne, mogli, conviventi, di rifarsi un’altra vita, con dignità, in autonomia e libertà. Quella libertà di cui sono state private tra quelle mura domestiche troppo spesse per far filtrare le grida disperate di aiuto e dove si nascondono soprusi e pericoli. Con un assegno la donna potrà almeno per i primi tempi provvedere alle spese di una nuova vita, cambiare abitazione o addirittura città se la situazione di pericolo lo impone, potersi pagare un affitto o un corso di studi.
«Una legge prima di tutto di civiltà», sottolinea Alessandra Zedda che annuncia un raddoppio del finanziamento sugli attuali 300 mila euro stanziati per il 2019 dalla Giunta Pigliaru (centrosinistra). «E’ stato dato ascolto ai Centri Antiviolenza che da anni reclamano misure concrete per rendere autonome le donne una volta  terminato il percorso nelle case protette – spiega Patrizia Desole, consigliera Pd del Comune di Olbia e presidente del centro antiviolenza di Olbia Prospettiva Donna –  il Rdl è rivolto alle sopravvissute alla violenza maschilista, in condizioni di povertà con o senza figli minori». E i centri antiviolenza assumono un ruolo di primo piano. «In una delle strutture le donne dovranno seguire un progetto personalizzato finalizzato al raggiungimento dell’autonomia e emancipazione e al reinserimento lavorativo», specifica Patrizia Desole. I primi ad essersi attrezzati per dare attuazione a questa misura sono stati i Comuni di Olbia e Nuoro. Altre regioni stanno guardando con attenzione questi esempi virtuosi.
Una buona pratica già mutuata dalla Regione Sicilia che ha messo a disposizione per il 2019 200 mila euro grazie a un emendamento alla finanziaria di cui è stato promotore Giovanni Cafeo (Pd). Modello Sardegna dunque come pioniera di un’attenzione  verso il fondamentale strumento economico, finora trascurato. Perché quella economica, subdola, è un tipo di violenza di cui poco si parla ma è alla base dei ricatti che impediscono alle donne di denunciare e di liberarsi dal marito violento.  Uomini che assumono anche il ruolo di «tesorieri di famiglia» tra conto corrente cointestato, pressante controllo su ogni acquisto e fino al più piccolo scontrino, anche quando le donne hanno un proprio reddito o beni intestati, il «suggerimento a fin di bene» di stare a casa e lasciare il lavoro per tenerle in stato di sudditanza e isolarle dal contesto sociale e produttivo. Una violenza economica che la Convenzione di Istanbul, recepita dall’Italia nel 2013 definisce come violazione dei diritti umani, «atti di controllo e monitoraggio nei confronti di una donna in termini di uso e distribuzione di denaro».
«Un contributo economico che permette agevolazioni anche per l’assegnazione di case popolari –  aggiunge Alessandra Zedda – ma anche progetti di educazione socio affettiva nelle scuole per acquisire consapevolezza sull’importanza dell’amore e del rispetto verso gli altri e verso se stessi».
I fondi saranno assegnati sulla base di una graduatoria. Si terrà conto anche delle discriminazioni multiple, come  ad esempio le donne con disabilità. Non avere un reddito diventa una trappola dalla quale è difficile uscire, perché ancora nel 2019 ci sono donne costrette a scappare per difendere se stesse e i propri figli, lasciare tutto e ricominciare daccapo a qualsiasi età. «Tra le prime cause che impediscono a tante di lasciare quella casa “prigione” ci sono la paura di un inasprimento della violenza e la mancanza di mezzi – sottolinea Patrizia Desole – con quel reddito tante donne potranno sentirsi libere, innanzitutto di vivere. Prima che sia troppo tardi».

Native

Articoli correlati