«Noi vorremmo far lavorare delle donne ma non è colpa nostra se ce ne sono di meno e quelle poche non sappiamo dove trovarle». E’ un classico, la scusa pronta quando si contesta che siano ancora troppo spesso #tuttimaschi gli esperti o i professionisti chiamati a svolgere certi incarichi di punta, basta vedere come ancora sono composte le enne task force impegnate a tutti i livelli della catena di comando nell’emergenza Covid 19.
Succede in tutti i campi e il giornalismo non ne è esente. Nemmeno il fotogiornalismo. Il sito Women Photograph monitora dal 2017 la presenza delle fotografe sui media ed elabora tabelle centrate in particolare su 8 quotidiani, dal New York Times al Guardian a Le Monde (non ci sono giornali italiani): nel 2019 a firmare la foto di copertina sono state delle donne nell’11% dei casi sul Guardian e Le Monde, il 29,5% sul New York Times, battuto alla grande dal San Francisco Chronicle con il 41,8 %. Non sono andate tanto bene, quanto a presenza femminile, le agenzie come Ap e Reuters, sotto il 10%.
Presenza di foto scattate da donne sulla Reuters nel 2019
Per togliere dall’imbarazzo photo editor e caporedattori che sostengono di fare fatica a trovare fotografe, Women Photograph, fondato dalla freelance Daniella Zalcmann e da un team di base a New York, ha realizzato un database con 950 profili di professioniste di tutto il mondo, con almeno 5 anni di esperienza documentabile nel mondo dei media, a disposizione di chi nelle newsroom dei media internazionali volesse ingaggiarle. A dimostrazione, come ha detto Zalcmann che non scarseggiano le fotografe, ma se mai quello che manca è l’equità nelle assunzioni e negli incarichi.
Lo scopo di WP è principalmente fare lobbying nelle redazioni e promuovere l’attività delle donne fotografe attraverso workshop, grant e contest con l’obiettivo di incoraggiare la diversità di narrazione anche nel campo della fotografia, che resta un settore ancora a netta prevalenza maschile. Una sezione è dedicata al mondo non binary e Lgbt. In epoca di Covid 19 WP ha lanciato anche un contest a tema su Instagram dove le fotografe raccontano la quarantena, e ha messo a disposizione fondi, per sostenere le professioniste che hanno perso lavori e committenze a causa del lockdown.
Giovanna Ferrari con i vestiti della figlia Giulia, vittima di femminicidio. ©Stefania Prandi
Tra le non molte italiane presenti nel database c’è Stefania Prandi, giornalista e fotogiornalista freelance, pluripremiata per il suo progetto Oro rosso, un’inchiesta sullo sfruttamento delle donne nella raccolta di pomodori in diversi paesi del Mediterraneo, diventato un libro e una mostra fotografica e autrice dello struggente reportage per immagini The Consequences, dedicato ai parenti delle vittime di femminicidio. «Ci sono molte associazioni di donne fotografe, lo specifico di Women Photograph è questa azione esplicita di lobbying: l’idea è fare endorsement le une per le altre, aiutandosi con i contatti, attraverso grant e fungendo da vetrina per la committenza – dice Prandi –. Facciamo ancora molta fatica a vedere riconosciuto e promosso il nostro lavoro, soprattutto su certi temi da breaking news. Si chiede alle donne di trattare temi da donne, più centrati sulla sfera intima, il che va benissimo ma poi si trovano mille ostacoli su altri piani. Proprio in questi giorni una collega che voleva coprire l’emergenza Covid 19 ha raccontato che alla fine ha rinunciato perché da una parte era oggetto di un certo bullismo da parte dei colleghi e dall’altra quando andava a proporre i propri servizi le chiedevano immagini più orientate sulla sfera privata. Resiste lo stereotipo del fotografo maschio che va in prima linea con la tuta e la mascherina sfidando il virus, come sul fronte di guerra». Il rischio è una narrazione a senso unico che oscura la visione del mondo di una fetta importante di professioniste.
Women Photograph ospita anche i link alle associazioni di altri paesi, come l’italiana www.donnefotografe.org.