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I bambini ci guardano, e noi non capiamo

Una lettera a Conte dalle educatrici di Milano: ”Correre alla riapertura delle scuole di relazione senza garanzie è come dichiarare guerra all'infanzia”. [Di Cristina Pecchioli]

I bambini ci guardano, e noi non capiamo
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Cristina Pecchioli Modifica articolo

11 Maggio 2020 - 23.56


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L’iniziativa è partita da Angela Masala, educatrice della scuola dell’infanzia di Milano, e le sue colleghe hanno subito sottoscritto la lettera aperta al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte che in poche ore ha già ottenuto migliaia di visualizzazioni su YouTube.

“L’ho scritta di getto, col magone, racconta. Avevo letto sulla stampa che da più parti si sollecitava la sperimentazione di nuovi modelli in grado di garantire, ovviamente con tutte le precauzioni del caso, la ripresa dell’attività delle scuole dell’infanzia non a settembre ma tra qualche settimana. Sapevo quanto fosse importante far sentire su questa ipotesi anche la nostra voce. Così ho scritto:…..”Io non so che cosa il coronavirus abbia prodotto nelle coscienze adulte del nostro Paese, quello che so è che la distanza sociale ha prodotto in me e nell’animo delle mie colleghe una nuova consapevolezza, la distanza reale ma anche quella metaforica ci ha permesso di mettere a fuoco la nostra condizione di educatrici.
I nidi e le scuole dell’infanzia sono scuole di relazione, e tale materia, la relazione appunto, nella fascia d’età di bambine e bambini così piccoli ha bisogno di essere giocata a trecentosessanta gradi.

Loro non sanno misurare un metro di distanza, non sanno tenere addosso una mascherina per più di qualche minuto, e questo azzera ogni possibilità di prevenzione e di tutela in primo luogo della loro salute ma anche della nostra, considerando che gli esperti hanno valutato che il nostro è uno dei ruoli a più alto rischio”.

Sono tante le incertezze e le domande che, ragionando in termini realistici, si pongono queste educatrici rispetto allo svolgimento in sicurezza del proprio lavoro. Come affrontare il problema di un bambino che cade, che si fa male, che piange per un litigio o si lancia per un abbraccio spontaneo verso le maestre o un compagno? Cosa fare? Respingerlo, dissuaderlo con le parole? O in quale altro modo? E soprattutto con quali effetti sulla sua vita emotiva e psicologica? Sono domande che dovrebbero interrogarci tutte e tutti.
“Rientrare nella normalità – si legge nella lettera – parola davvero infelice visto quello che la normalità è riuscita a produrre in termini di disastro ambientale e di distruzione del pianeta, non significa sacrificare il bene più prezioso per il Pil”.

Ma nella lettera aperta al Presidente Conte non si limitano a sollevare domande e a sollecitare risposte. Le educatrici chiedono di salvaguardare la salute, la vita dei bambini e delle bambine e la loro “aspettando qualche mese, certo senza stare a guardare ma lavorando a distanza come abbiamo imparato a fare sviluppando capacità tecnologiche a volte insperate”. Vogliono provare a cogliere l’occasione per una ripresa che segni un cambio di passo rispetto a una “normalità” che ha portato il mondo alla catastrofe. Questa crisi rappresenta, forse,  un’opportunità per mettere al centro di uno sviluppo più armonico, di un rinnovato sistema economico ciò che con il loro lavoro si impegnano ogni giorno a salvare: “il futuro rappresentato dalle bambine e dai bambini, il bene più prezioso per tutte le società di questo mondo malato. È l’economia che dovrebbe ruotare attorno alle loro vite, non il contrario. I bambini non sanno quali sono i loro diritti, ma noi si. Hanno diritto ad essere accolti, coccolati, nutriti, curati, hanno diritto a vivere il gioco come veicolo di crescita, non come veicolo di paura e di contagio”.

In uno dei suoi collegamenti da Pechino Giovanna Botteri ha spiegato come la riapertura delle scuole per la prima infanzia in Cina sia l’ultimo atto della progressiva ripresa delle attività, “perché i bambini e le bambine sono la cosa più preziosa, in modo particolare in una società nella quale fino a poco tempo fa vigeva la politica del figlio unico”. Da noi le cose vanno diversamente. La pandemia ha messo in crisi modelli famigliari fondati sul ruolo delle nonne e dei nonni che hanno colmato le mancanze dello stato sociale.

Giustamente ci si pone il problema degli effetti devastanti che potrà avere la terribile emergenza sanitaria, sociale ed economica che stiamo vivendo sul lavoro e sull’esistenza delle donne, e sarà difficile contrastare un drammatico arretramento su questo terreno. Le politiche di sostegno alle famiglie – tra smart working, bonus baby sitter e permessi per le mamme, ma anche per i papà – sono importanti ma non sono sufficienti a rispondere alle fondate e più che legittime preoccupazioni di chi deve tornare al lavoro non sapendo come conciliare questa esigenza fondamentale con la chiusura delle scuole e la messa in discussione degli equilibri famigliari. Dal canto loro le educatrici della scuola dell’infanzia di Milano si sono interrogate sull’importanza del proprio lavoro, sulle difficoltà che incontreranno, su una normalità che dopo il Covid19 sarà diversa da quella che abbiamo conosciuto, ma anche sulle opportunità di una crescita collettiva per il futuro. E c’è la piena consapevolezza che occorre cominciare a prepararlo da subito questo futuro.

Ma ”correre alla riapertura delle scuole di relazione senza garanzie – dal vaccino ai tamponi settimanali per tutti – è come dichiarare guerra all’infanzia”. E loro, le educatrici, a questa guerra non hanno intenzione di partecipare.

 
 
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