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La salute delle donne è un business troppo costoso

Le donne sono le maggiori consumatrici di farmaci, ma non si "sprecano" risorse per fare sperimentazione. Ne parliamo con Laura Berti, il volto di "Medicina 33" [di Beatrice Curci]

La salute delle donne è un business troppo costoso
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Beatrice Curci Modifica articolo

29 Maggio 2021 - 23.27


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Laura Berti è la curatrice e da anni volto della rubrica del Tg2 “Medicina 33” (oltre che tra le fondatrici di “Giulia”): con lei discutiamo di un tema che viene sempre sottovalutato, perché le donne hanno sempre più bisogno di una Medicina di Genere-Specifica. Cuore, testa e l’intero organismo sono dissimili nei due sessi, per questo è necessario che i medici possano calibrare terapie diverse. La medicina di genere è “medicina delle differenze” e tiene conto di molte variabili, comprese l’età e lo stile di vita. Eppure pochissimi se ne occupano.

 

 

L’Italia è l’unica in Europa ad avere un centro di riferimento per la Medicina di Genere presso l’Istituto Superiore di Sanità, eppure questa non è ancora una prassi medica consolidata. Secondo te perché?

Perché il nostro è il Paese delle contraddizioni: da una parte un nutrito gruppo di ricercatrici e ricercatori che lavora da anni proprio su questo tema considerandolo centrale nel costruire protocolli terapeutici e di prevenzione, come all’ISS. Dall’altro, il disinteresse, ma direi soprattutto la pigrizia, di un altro gruppo di terapeuti (fortunatamente sempre più esiguo) che considera la medicina di genere una speculazione ideologica vetero – femminista…
Solo quando qualcuno si accorgerà che la medicina di genere è un potenziale mega business, allora forse ci occuperà di più di questa che diventerà una branca della Medicina.

Vi basti pensare che in Italia nel 2018, la spesa in farmaci, in ambito sia pubblico che privato, è stata pari al 29,1 miliardi di euro, con un costo medio per cittadino pari a 482 euro circa. Il rapporto nazionale dell’Agenzia italiana del farmaco, riporta inoltre un altro dato interessante: le donne sono le maggiori consumatrici di farmaci, tra il 20-30% in più rispetto agli uomini, eppure molti di questi prodotti farmaceutici non tengono in considerazione le risposte, le reazioni e gli effetti diversi tra uomo e donna.

Come certamente sai fino al 1993 le donne sono state escluse dagli studi sulla sperimentazione dei farmaci, e a tutt’oggi nelle fasi iniziali di uno studio su un farmaco, quelli sulla sua sicurezza, le donne non superano il 20-25 per cento delle persone coinvolte. Questo a causa della maggiore complessità degli organismi femminili come oggetti di studio. Dalle prime mestruazioni in poi, le donne hanno un sistema molto variabile dal punto di vista ormonale. Questi cambiamenti influenzano anche il livello di risposta o di assorbimento dei farmaci. E dunque risulta più complicato e costoso prevedere un alto coinvolgimento femminile.

Ed ecco che il business di cui parlavo prima riaffiora. Ma se siamo le maggiori consumatrici di farmaci, dunque un mercato amplissimo, magari un po’ delle entrate potrebbero essere investite in sperimentazioni magari più costose ma che renderebbero i farmaci più sicuri per le donne. Ma finché non sarà un obbligo di legge, dubito che tutte le case farmaceutiche spendano risorse in questo tipo di sperimentazioni.

 

Nella tua esperienza di giornalista scientifica, quanto i medici e non solo loro, pongono la giusta attenzione all’applicazione di una Medicina Genere-Specifica? 

Troppo poco: qualche medico illuminato c’è, non c’è dubbio, ma sono mosche bianche. Ma si può, perfino per le cure oncologiche, essere costretti a somministrare un farmaco tarato su uomini che pesano in media 70 chili e rimodularne le dosi solo in base al peso femminile senza tener conto del diverso tipo di metabolismo? D’altro canto è vero che se non ci sono sperimentazioni sulle donne, non c’è scelta…

Quanto il pubblico sa cosa è la medicina di genere?

Anche qui poco. E ripeto quanto detto prima: se chiedi in giro ti rispondono “boh!” mentre i più evoluti pensano ai tumori di seno, ovaie e utero. Stop.


Credi ci siano ancora troppe resistenze culturali, e non solo in ambito medico, nei confronti di una differenziazione per una cura e una vera una terapia di genere?

Si. Resistenze culturali e anche protezione particolare che però quando si tratta di vendita di farmaci, cadono improvvisamente. Ti faccio un esempio: una delle resistenze per l’inserimento delle donne nelle sperimentazioni cliniche è la possibile gravidanza. Giustissimo, ma l’altra faccia della medaglia è la tragedia della Talidomide, un farmaco per indurre il sonno che dagli anni ’40 fu commercializzato liberamente e a lungo. Le meno giovani di noi lo ricorderanno senz’altro. Molte donne in gravidanza lo assunsero dando poi alla luce bambini focomelici. Il farmaco era stato testato su modelli animali anche di genere femminile. Inutilmente, purtroppo. Questo per dire che c’è stato un riguardo particolare verso le donne in gravidanza a livello di sperimentazione, ma a questo non è corrisposta un’attenzione al momento della commercializzazione del farmaco.

 

C’è ancora molto da fare…

Direi proprio di sì…Beh, passi avanti se ne sono fatti, ricerche avanzate indicano il genere come valore determinante di salute, Ministero della Salute e ISS sono molto impegnati in questo. Certo, la situazione a livello regionale è eterogenea, ma l’interesse c’è.

 

Quanta consapevolezza c’è in tal senso tra i colleghi giornalisti che si occupano di medicina e quanto questo argomento viene trattato dall’informazione?

Devo dire non moltissima. Anzi, ti ringrazio per aver deciso di trattarlo. Del resto, però, non è un argomento facile di cui parlare, ci sono molte sfaccettature di cui tener conto e renderlo interessante per il grande pubblico è piuttosto faticoso. Anche per l’atteggiamento di prevenzione di cui parlavamo prima…

Tra qualche giorno si andrà al voto per rinnovare le cariche della CASAGIT, la Cassa autonoma di assistenza dei giornalisti, di cui sei consigliera uscente. Cosa ha fatto o sta facendo la Cassa per portare avanti la medicina di genere e quale sarà il tuo impegno personale se verrai rieletta?

L’impegno è enorme. E non lo dico per dire. L’ambulatorio di Piazza Apollodoro qui a Roma è un vero gioiello che vorremmo rendere ancora più efficiente. Uno dei miei cavalli di battaglia, qui nel Lazio, è sui pacchetti di controlli di prevenzione da svolgersi in un solo giorno, da fornire ai soci. Si tratterebbe di pacchetti composti da differenti visite specialistiche con cadenze variabili a seconda della situazione. Ti faccio un esempio: ad una donna di 45anni senza patologie, verranno offerti ogni anno dai controlli ginecologici alla mammografia, al controllo cardiologico, agli esami per la tiroide e così via, insomma tutti controlli da decidere con i medici della CASAGIT. Un pacchetto diverso sarà offerto alle sessantenni, e ancora diverso agli uomini, che potranno sottoporsi a PSA, e ecodoppler e esami per la prevenzione del tumore del colon e così via. Ma questi sono solo esempi di massima. Cercheremo di fornire prestazioni all’avanguardia. E infine vorrei dire un’ultima cosa: non dimentichiamo che la medicina di genere riguarda anche gli uomini: pensate che ci sono farmaci molto più efficaci nelle donne che negli uomini, che ci sono patologie (il Covid-19 non ha fatto eccezione) che colpiscono più il genere maschile… Insomma, il futuro deve essere sempre più verso la medicina personalizzata, cucita addosso all’individuo, di qualsiasi genere sia.

 

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