Rassegna sui generis: la settimana di notizie sulle donne (3 gennaio-9 gennaio) | Giulia
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Rassegna sui generis: la settimana di notizie sulle donne (3 gennaio-9 gennaio)

Una settimana di notizie sui nostri media: come e quanto si parla di donne? E quante sono le donne a scrivere del mondo. GiULiA prosegue con il suo osservatorio sui giornali in ottica di genere [di Paola Rizzi]

Rassegna sui generis: la settimana di notizie sulle donne (3 gennaio-9 gennaio)
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Paola Rizzi Modifica articolo

10 Gennaio 2022 - 10.41


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Settimana dal 3 al 9 gennaio 2022:
Il Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa, Il Giornale, Il Messaggero, L’Avvenire, Domani, Il Sole 24 ore, Il Manifesto, più uno sguardo al web

Firme in prima pagina:  591  uomini, 201 donne
Editoriali, commenti e analisi: 74 uomini, 32 donne
Interviste: uomini 179, donne 49

Per iniziare una piccola notizia della categoria “uomo morde cane”, senza voler fare classifiche tra buoni e cattivi: questa settimana sulla prima pagina del giornale la Stampa è successo più volte che le firme femminili fossero di più di quelle degli uomini. Verrebbe quasi da dire: ora non esageriamo. Ma comunque succede. Può succedere.

 

 

Una Donna al Colle.
Sarà forse anche per questo che proprio la Stampa è tra i giornali che più hanno dato seguito all’appello del 3 gennaio per una donna al Quirinale sottoscritto da Dacia Maraini, Edith Bruck, Liliana Cavani, Michela Murgia, Luviana Littizzetto, Silvia Avallone, Melania Mazzucco, Lia Levi, Andree Ruth Shammah, Mirella Serri, Stefania Auci, Sabina Guzzanti, Mariolina Coppola, Serena Dandini, Fiorella Mannoia. In effetti un appello che non ha intaccato minimamente le pagine di cronaca politica di nessun giornale, nemmeno della stessa Stampa, dove questa settimana sono scomparse anche le ipotesi femminili affacciatesi agli inizi, se si esclude il riaffiorare saltuario del nome di Marta Cartabia. La discussione su una donna al colle viaggia su un binario parallelo che non scalfisce il dibattito politico. La questione del nome non è secondaria perché nell’appello appunto non si fanno nomi. Scelta contestata non solo da Massimo Parente sul Giornale del 3 gennaio che con il consueto fervore antifemminista con un commento intitolato “Quanto sessismo nell’appello rosa per il Quirinale se la prende con le “schwastiche“ e contesta appunto la mancanza di una candidata in carne ed ossa. In effetti anche Laura Boldrini intervistata da Daniela Preziosi su Domani sostiene di sperare in una donna, ma che abbia i requisiti necessari e non a prescindere. Sulla Stampa le firmatarie interpellate oscillano tra la posizione di Edith Bruck che dice che in effetti di nomi non gliene vengono in mente a chi come Stefania Auci sostiene che invece ce ne sono molti ma poi non ne fa. Dacia Maraini sulla Stampa del 9 spiega che l’appello parla di principi e non fa propaaganda politica, aggiungendo che i nomi ci sono e ne fa, (i soliti Cartabia, Bindi, Segre, Bonino) ma non è questo il punto. Stranamente usa il termine presidentessa lamentandosi della misoginia di una grammatica che non prevede il femminile per certi ruoli. La presidente no? Chi proprio non è d’accordo, sempre sulla Stampa, è Eugenia Tognotti , storica della medicina e saggista: in “Al Colle non basta che sua femmina” invita a fare una battaglia vera, con un nome e un cognome e non una donne purchessia, però anche lei non dice un nome. Da segnalare due autocandidature: quella di una ironica lettrice di Domani che si firma solo Giulia e non elenca nessuna competenza tanto basta “Una Donna” e quella di Gianna Nannini, tanto per buttarla in caciara.

E’ sul pezzo anche il neonato quotidiano online La Svolta diretto da Cristina Sivieri Tagliabue, che introduce, per la verità saltuariamente, asterischi e schwha come nell’editoriale di saluto. Centrato su diritti e ambiente, promuove una campagna per una President* illustrando di volta in volta profili di possibili donne papabili. «La campagna ha l’obiettivo di raccontarti quante donne di merito abbiamo, pronte per essere elette President* della Repubblica». Per esempio per il futuro (ora è troppo giovane) Elly Schlein.

 

E’ bello sapere che altrove, in fatto di leadership e classi dirigenti, le cose vanno più veloci. E’ il Manifesto del 7 gennaio a dirci che anche la seconda presidente dell’assemblea costiuente cilena è una donna: María Elisa Quinteros, dentista 39enne che prende il posto della mapuche Elisa Loncòn. Abbiamo scelto la sua foto con campanellino pubblicata dal Manifesto per illustrare questa rassegna, che sia di buon auspicio. 

Insomma il Cile, con un presidente 35enne, Gabriel Boric,  e donne giovani in posizioni chiave, sembra andare controcorrente rispetto a quella gerontocrazia maschile che occupa le posizioni di potere del mondo. Lo dice, numeri alla mano, una ricerca di éliteam, centro di ricerca dell’università politecnica delle Marche pubblicata l’8 gennaio dal Sole24ore che analizza i curricula di 24mila top leader globali, di cui 9mila europei. Il dato eclatante è la prevalenza del maschio anziano: i maschi sono l’87%, gli over 70 il 54%. Quindi tra i top leader globali sono donne solo il 13%, gli under 50 sono meno del 20 %. Per tornare da dove siamo partiti, basta vedere l’età dei nostri candidati al Colle. L’unica per ora potenziale leader globale  nella Vecchia Europa a cui si è dato un po’ di spazio in questi giorni sui media peri suoi 40 anni è Kate Middleton la principessa definita docile e lavoratrice. Va beh.

 

Orrori e violenza di genere.
L’elenco dei fatti atroci della settimana ha consentito ai giornali di fare paginate su delitti e abusi. Si parte dall’omicidio del piccolo Daniele ad opera del padre come vendetta nei confronti della madre, al ritrovamento del cadavere della donna di Trieste con il sinistro balletto mediatico del marito che rilascia interviste a raffica e dell’amico di lei, fino all’inchiesta su almeno cinque casi di violenza sessuale di gruppo nella notte si Capodanno in piazza Duomo a Milano.

Nel caso del piccolo Daniele la discussione sui giornali ha riguardato le lacune della magistratura, che ha concesso al padre, con precedenti violenti e detenuto ai domiciliari, di tenere presso di se il figlio. Un’esperienza simile vissuta da Antonella Penati, intervistata da Giusi Fasano sul Corriere del 3 gennaio, che ha fondato l’associazione Federico nel cuore in memoria del figlioletto ucciso dal padre in un incontro protetto con gli assistenti sociali. Penati da anni combatte contro un’interpretazione distorta del principio di bigenitorialità anche in caso di acclarata violenza domestica. Lo ribadisce ad alta voce il giudice Fabio Roia intervistato su Repubblica facendo un appello ai colleghi perché non affidino più i figli ai padri violenti: «Le leggi ci sono ma c’è questo retaggio per cui si ritiene che anche se un uomo è violento con la madre o con altre persone possa comunque essere un buon padre. Niente di più sbagliato». Controcorrente l’opinione sulla Stampa della scrittrice Elena Stancanelli che il 3 gennaio imputa quanto successo alla cocaina e parla del padre come di un tossico pazzo. Un po’ avventata visto che poi le indagini sono tutte incentrate sulla premeditazione del gesto per punire la moglie che lo aveva lasciato. E del resto Luca Fazzo sul Giornale analizza step by step tutti gli errori delle toghe che hanno portato alla sottovalutazione del rischio per il bambino, effetti collerali di mancata comunicazione, burocrazia e scaricabarile.
Il quotidiano on line il Post approfondisce in un pezzo di Alessandra Pellegrini De Luca come funziona o non funziona la gestione dei casi di violenza di genere da parte delle forse dell’ordine: nonostante gli sforzi indubbiamente fatti, non funziona, ancora si minimizza e c’è molto da fare in termini di formazione.

Qui incidentalmente segnaliamo che i giornali non si sono messi d’accordo sulle immagini: tutti hanno pubblicato la stessa foto del padre con il piccolo Daniele, alcuni l’hanno pixelata altri no. Noi pensiamo alla madre sopravvissuta e alla violenza di quell’immagine.

 

L’altro fatto emerso nel corso della settimana riguarda i cinque, per ora, casi di aggressioni di gruppi di giovani delle periferie, per lo più probabilmente di orgine nordafricana (nel momento in cui scriviamo non ci sono indagati con nomi e cognomi), ai danni di altrettante ragazze a Capodanno in piazza Duomo. Come capitato in altri casi simili il tema offre il destro per attaccate “Le femministe“ tout court che quando ci sono di mezzo stranieri starebbero zitte in nome del politicamente corretto. Lo fa Fiamma Nirenstein sul Giornale con un commento intitolato in prima «Le femministe complici dei molestatori» e all’interno per ribadire il concetto «le femministe e i loro silenzi indecenti». In sintonia seppure con toni più moderati il commento di Michela Marzano su Repubblica che sposa la tesi che solo poche persone si siano indignate per le violenze del branco in piazza Duomo e che non ci sono stati messaggi di solidarietà alle vittime. Il tutto forse perché si teme che la cosa possa essere strumentalizzata in chiave razzista data l’origine degli aggressori. Insomma una sorta di autocensura.

 

Censura, cancel culture, revisionismi e befane.
Un capitolo molto ricco questa settimana: a proposito di streghe la Scozia ha deciso si riabilitare e porre scuse postume alle oltre 3837 persone mandate al rogo nei secoli, all’84% donne perché accusate di stregoneria e lo fa con una legge promossa anche dalla premier Nicola Sturgeon e presentata da un gruppo di storiche e femministe che sono andate a spulciare gli archivi e a trovare i nomi. Ce lo racconta Franca Giansoldati sul Messaggero del 5 gennaio.

In Italia invece si è parlato per qualche giorno di statue: a Padova le 78 statue di Prato della Valle sono tutte di maschi, ci sono due piedistalli liberi e la proposta è di spostare lì quella di Elena Cornaro Piscopia, la prima donna laureata al mondo nel1678 che ora accoglie i visitatori all’ingresso dell’università. Sulla Stampa si schiera tra i favorevoli la scienziata Antonella Viola (per inciso questa settimana costretta alla scorta per le minacce dei no vax) che a Padova insegna e fa alcuni nomi come Gualberta Alaida Beccari, mazziniana e protofemminista o la poetessa rinascimentale Giulia Bigolina. Ma non devono essere necessariamente eccezionali: come ricorda Viola tra i 78 ci sono anche illustri sconosciuti.

La statua di Elena Cornaro Piscopia a Padova

A proposito di statue nella furia del Giornale contro la cancel culture si racconta con toni critici la storia della 65enne principessa Marie-Esméralda del Belgio, zia dell’attuale re Filippo, che vorrebbe, giustamente, venisse abbattuta quella di Leopoldo II, reponsabile di un vero e proprio genocidio in Congo che aveva ridotto a sua proprietà privata.

Nella pagina della Cultura del Corriere della sera del 4 gennaio la sconcertante vicenda dell’università di Reading in Uk dove ai corsi di Lettere antiche è stata presentata una versione censurata de Il Biasimo delle donne del poeta greco Semonide, testo dai contenuti misogini, in particolare nella parte in cui si parla di donne percosse e obbedienti. Molte motivate critiche.

 

Sul politicamente corretto da segnalare anche il caso raccontato sempre dal Corriere della sera di Amy Schneider, donna trans che ha vinto il quiz Usa Joepardy, ma il problema è: è la prima donna o il quarto uomo a vincere una somma enorme nella storia del quiz? I giornali Usa si sono divisi.

Amy Schneider al Quiz Joepardy 

Un capitolo a parte lo merita la questione direttori/ direttrici: Oksana Lyniv, 44 anni ucraina, è stata la prima direttrice a dirigere a Bayreuth e ora diventa direttrice stabile del comunale di Bologna. A parte la sbavatura di chiarmarla il Karajan femminile (?) nell’intervista di Valerio Cappelli sul Corriere della sera del 4 gennaio lei spiega bene anche per i più refrattari perché vuole essere chiamata direttrice: «Si rischia di riportare indietro di oltre 50 anni le conquiste delle donne. Per secoli alcune professioni erano destinate agli uomini, perciò sono d’accordo che mi si chiami direttrice altrimenti sarei un’eccezione nel mondo patriarcale». Un’altra direttrice con carriera internazionale, Speranza Scappucci, 48 anni, debutta alla Scala ne “i Capuleti e i Montecchi” di Bellini, chiamata in corsa per sostituire Evelino Pido’ contagiato dal Covid. Poi c’è l’onnipresente sui media “direttore” Beatrice Venezi che insiste con la storia del maschile. Così ne scrive entusiasta Paolo Giordano sul Giornale: «È una dei direttori d’orchestra più ricercati in assoluto, viaggia di qua e di là, e sul podio la sensualità dei suoi gesti contrasta con la forza schietta del carattere (sic ndr)». «Il maestro Venezi si è fatta conoscere anche per aver ribadito il (sacrosanto) desiderio di farsi chiamare “direttore” e non “direttrice” come prevede la costituzione unilaterale del politicamente corretto». Concordanza e sintassi a quel paese.

 

Cose dal mondo.
A proposito di cancellazione, Francesca Mannocchi sulla Stampa nell’articolo intitolato «a viso coperto» descrive la scomparsa dei volti delle donne afghane ad opera dei talebani dopo le immagini delle decapitazioni dei manichini nei negozi di Herat. Una pratica per altro già messa in opera in Nigeria.

 

L’Afghanistan è tornato alla ribalta anche per il caso della donna morta assiderata per salvare i figli mentre attraversava le montagne della Turchia. Sulla Stampa il commento della giornalista e blogger afgana Roya Heydari rifugiata a Parigi. Un discorso amarissimo sulle diverse opportunità, lei è scappata su un aereo, l’altra a piedi,. L’appello è a smettere di chiamare migrante gente che scappa da morte certa: sono rifugiati.

 

In Corea del Sud, un servizio di Carlo Pizzati su Repubblica riprende senza citarlo un reportage del New York Times sul movimento antifemminista, capeggiato da un tizio che si traveste da Joker e che si spiega anche con gli svantaggi economici per i maschi coreani per la concorrenza delle donne nel mondo del lavoro, soprattutto in seguito a politiche e leggi più inclusive. Il 79% dei maschi ventenni si dice vittima di discriminazione di genere e di pagare per le colpe delle generazioni precedenti.

Sul Manifesto si racconta della Cina che modificherà la legge sulla protezione dei diritti delle donne, che ha 30 anni. Non tanto per proteggere le donne ma per contrastare il calo demografico. Avrà comunque una marcata vena sessista: parla di “diversità e debolezza innata” anziché di parità. Non sono previste sanzioni per i trasgressori.

 

Sempre sul Manifesto Gloria Pavia scrive del Brasile: “La società su misura dell’uomo bianco“. Paese al quinto posto al mondo per numero di femminicidi e primo per omicidi di persone transgender. La mascolinità egemonica come progetto di civiltà secondo il sociologo Túlio Custódio: «La mascolinità è come il colonialismo e il capitalismo. Si basa su un potere organizzato in modo binario e gerarchico che comporta l’annientamento simbolico e fisico dell’altro in tutti i rapporti di genere, classe, razza, religione e territorio».

 

In un trafiletto il Corriere della sera l’8 gennaio racconta della prima donna nominata alla corte suprema del Pakistan: Aisha Malik , 56 anni, laureata ad Harvard è diventata famosa per aver vietato i test di verginità per le donne stuprate. Una nomina controversa e osteggiata ma ce l’ha fatta.


Aisha Malik, prima donna nella Corte suprema in Pakistan

Lavoro e carico famigliare.
Solo trafiletti sul Rapporto Ranstad: in Italia sono inattive il 43% delle donne tra i 30 e i 69 anni, ossia 7 milioni. Il 58% al Sud. In Germania sono il 32%.

Certo è che una corsa tutta in salita se ci si mette anche l’intelligenza artificiale. E’ il Manifesto a raccontare come ITA, nata sulle ceneri di Alitalia, tagli le donne: un filtro dei dati usato nella selezione delle assistenti di volo avrebbe discriminato le donne nella fascia 35-50 sulla base di informazioni quali un estratto contributivo dal quale è possibile desumere le condizioni personali (malattia, handicap e maternità) dei familiari. Insomma quelle con un carico familiare eccessivo, fuori.Una prassi illecita secondo gli avvocatu su cui si basa una class action depositata al Tribunale di Roma il 30/12.

A proposito di carico familiare: il demografo Alessandro Rosina, sulla Stampa, commenta l’appello del Papa all’adozione e ricorda come in Italia i figli desiderati sono gli stessi degli altri paesi europei ma poi se ne fanno un terzo di meno per la precarietà e il welfare familiare che non funziona. E tra le altre cose insiste sul congedo di paternità  per un vero cambiamento culturale. Se n’è scritto poco sui giornali ma si era parlato di allungarlo a tre mesi. Però, guarda caso, non si sono trovati i soldi ed è rimasto il congedo di 10 giorni. Peccato.

 

Infine.
La storia, ripresa da diversi giornali, di Clementina, 8enne di Brescia che voleva giocare al calcio ma si è vista rifiutata dalla società Pavoniana perché «le femmine creano problemi». Mal gliene incolse: dal nonno Francesco Vincenzi ex attaccante di Milan e Roma al padre, hanno chiesto spiegazioni, hanno reso pubblica la cosa e hanno ottenuto solidarietà, tanto che il Brescia ha proposto alla piccola di entrare nella loro squadra. Ma lei forse ora cambia sport.

 

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