Oro, argento, bronzo e diritti: la rivincita delle ragazze alle Olimpiadi della parità | Giulia
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Oro, argento, bronzo e diritti: la rivincita delle ragazze alle Olimpiadi della parità

I Giochi di Parigi hanno visto il successo delle azzurre e tante prime volte di atlete di tutti gli angoli del mondo. Non sempre il racconto dei media è stato all'altezza. Qualche suggerimento per non trovarsi impreparati la prossima volta.

Oro, argento, bronzo e diritti: la rivincita delle ragazze alle Olimpiadi della parità
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Caterina Caparello e Elena Miglietti Modifica articolo

13 Agosto 2024 - 15.01


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Intorno alle 17.25 di domenica 11 agosto Gabby Williams, cestista franco-americana, che rappresenta la Francia in ambito internazionale, ha nelle mani l’ultimissimo possesso e con una tripla potrebbe prolungare ai supplementari il tempo della finale, ma l’ala grande della formazione di casa non si accorge di pestare con i piedi la linea dei tre punti e regala così l’ottavo oro consecutivo (oltre al primo posto del medagliere) alle statunitensi. È l’ultima azione dei Giochi Olimpici di Parigi 2024.

Poche ore prima la gioia era tutta italiana con l’impresa delle ragazze dell’Italvolley: di medaglie nella pallavolo l’Italia ne aveva vinte tante, tutte, mancava l’oro olimpico. Ci sono riuscite loro, la nazionale più moderna e tecnica di sempre: in campo, checché se ne dica, nessuna differenza, solo il gioco di squadra che raggiunge il risultato. Il più bello di tutti.

La gioia delle ragazze dell’Italvolley.

DI SPORT E DIRITTI

Si è spento dunque il braciere dei Giochi Olimpici di Parigi, i primi con egual numero di atlete e atleti. Ci sono voluti centoventotto anni e trentatré edizioni per raggiungere questa parità in un mondo, quello dello sport, che spesso è l’anticamera delle battaglie per i diritti civili. Eppure il CIO continua con severità ad applicare la Regola 50 della Carta Olimpica, che vieta agli atleti di esprimere messaggi politici, religiosi o razziali durante le competizioni e le cerimonie olimpiche. Succede così che Manizha Talash, ventuno anni di Kabul, atleta del breaking per la squadra dei rifugiati, sia stata espulsa per aver esposto la scritta “Free Afghan Women” durante la gara. Anche la sua rivale applaude, ma l’organizzazione ha condannato il gesto e applicato la sanzione, cinquantasei anni dopo Tommie Smith e John Carlos. I cavilli sfuggono, pochi giorni prima la sua connazionale Kimia Yousofi, centista, aveva esposto sul pettorale la scritta “Educazione, Sport, i nostri diritti” per accendere una luce, anche lei, sulla situazione delle donne in un paese, l’Afghanistan, in cui il regime dei talebani impedisce alle donne l’istruzione e l’attività sportiva. Per lei nessuna sanzione. Resta la forza di un gesto che assume un grande valore, soprattutto durante una manifestazione planetaria, teatro perfetto per mandare messaggi forti. Cercare le opportunità e trovarle.

Se le atlete afghane hanno spinto per gridare al mondo il loro diritto di esistere, altre hanno sottolineato il loro diritto di essere.

Il diritto di essere libera di Brittney Griner, cestista USA a referto per pochi minuti e quattro punti durante la finale di cui sopra, assurta agli onori delle cronache per essere stata arrestata nel 2022 a Mosca per possesso di sostanze illegali in Russia. La condanna durissima a nove anni mise in moto le diplomazie, anche quelle sportive e Griner fu rilasciata al termine di una lunga trattativa, con uno scambio di prigionieri fra Mosca e Washington.

Il diritto di essere in difficoltà, quello di Simon Biles che a Tokyo dice basta, si ritira per prendersi cura della sua salute e pace mentale, torna a Parigi e vince, vince tanto, diventa la prima a ottenere l’oro nell’all-around di ginnastica in due edizioni non consecutive dei giochi. Poi entra nella storia quando, con la compagna di squadra Jordan Chiles, si inchina sul podio ai lati della ginnasta brasiliana Rebeca Andrade. Il gesto più forte perché dentro c’è la verità dei Giochi: si può vincere anche quando si perde.

Il diritto di essere al centro dell’attenzione, quello negato ad Alessia Maurelli, capitana della squadra di ginnastica ritmica, che ottiene il bronzo e tosto il fidanzato irrompe nel momento più alto, nel bel mezzo della celebrazione della gloria di un’atleta e tira fuori anello e proposta di matrimonio. Questione di opportunità, certamente Maurelli ha espresso gaudio, ma perché rubare la scena a lei e compagne?

Il diritto di essere a proprio agio con il corpo che si ha. Nulla come le competizioni olimpiche mette in luce la bellezza della diversità e centra l’obiettivo l’americana Ilona Maher, bronzo nel rugby a sette, che posta un messaggio in cui invita a cogliere il valore dell’unicità dei corpi delle donne. Tutte le donne. Lo dice a gran voce, invita a smettere di guardare i corpi estetici, ma a valutare l’agilità, il saper fare e lo stare bene: «Ognuno di essi (i corpi), nella propria originalità, è valido e può fare cose eccezionali: guardate noi, la ginnasta più piccola, la pallavolista altissima, la lanciatrice del peso, la velocista, la rugbista. Tutti i corpi sono belli e sanno fare cose eccezionali».

Il diritto di essere brava, una brava atleta, come Sifan Hassan, mezzofondista etiope naturalizzata olandese. Non era considerata la favorita nella maratona femminile, eppure l’ha vinta in modo spettacolare e stabilendo anche il nuovo record olimpico. Non solo, Hassan si porta a casa anche due bronzi nei 5000 e 10000 metri su pista eguagliando il record di Emil Zatopek, l’unico prima di lei a ottenere medaglie olimpiche in tre discipline così diverse a Helsinki. Era il 1952.

Il diritto di essere arrabbiate, quello di Imane Khelif vittima di un linciaggio digitale da parte di cyberbulli che hanno fatto salotto sproloquiando sul suo sesso. Incassa, gareggia, vince l’oro, quindi la scelta di aprire un fronte giudiziario su chi ha scatenato una campagna di odio nei suoi confronti, forse anche con querele in Italia. La pugile ha deciso di «intraprendere una nuova battaglia: per la giustizia, la dignità e l’onore». 

LE PRIME VOLTE

A Parigi 2024 i primati delle atlete di tutto il mondo. Kaylia Nemour, ha conquistato il primo oro per l’Algeria, e tutta l’Africa, nella ginnastica. Julien Alfred, oro nei 100 metri femminili, ha portato a St. Lucia nei Caraibi la sua prima medaglia olimpica. Manu Bhaker è diventata la prima tiratrice indiana a vincere due medaglie olimpiche. Cyndia Ngamba, sollevamento pesi, ha coronato una vittoria che va oltre il semplice risultato sportivo, conquistando la prima medaglia in assoluto per il Team Olimpico dei Rifugiati. La performance di Thea Lafond nel salto triplo è culminata in una medaglia d’oro per Dominica, la prima per l’isola delle Piccole Antille. Infine le “prime volte” che difficilmente potranno essere ripetute. La statunitense Diana Taurasi ne è l’esempio. Non esistono nel mondo del basket atleti o atlete più decorati di lei. L’unica giocatrice ad aver vinto sei medaglie d’oro olimpiche. La sua prima apparizione fu ad Atene 2004 senza mai lasciare il parquet olimpico. Ha 42 anni e, durante la conferenza stampa di inizio Giochi, ha dichiarato quanto ne andasse fiera e come fosse stanca delle continue domande sul ritiro. «Solo a una donna con 20 anni di esperienza viene raccontata l’esperienza come tallone d’Achille, anziché qualcosa di prezioso. È ora di cambiare questo racconto». E lei, ha cambiato non solo il racconto ma soprattutto i record.

RACCONTARE BENE

Lo abbiamo detto, i Giochi Olimpici di Parigi si sono svolti sotto la laica benedizione di Marianne e se i metri, i km, le altezze, le pendenze e le onde sono le stesse per atlete e atleti, perché il racconto no? Perché le variazioni sul tema mamme, mogli, cuoche, amiche, massaie continua a solleticare l’ispirazione di commentatori e giornalisti? Basta poco, l’impegno a migliorare il linguaggio deve diventare un punto d’onore, eleva la narrazione e rende merito. Perché nella pallanuoto femminile non fare lo sforzo di non dire «il nostro ultimo uomo in difesa», «il nostro miglior marcatore», quando in campo c’è una squadra di donne e anche a incaponirsi non si trova la difficoltà di dire «la nostra ultima donna in difesa, la migliore marcatrice». Ci prova Eurosport con un timido «la portiere», ci siamo quasi: portiera esiste. E se nel beach volley si mutua l’abitudine tutta brasiliana di chiamare le atlete per nome, allora allarghiamola anche agli uomini, altrimenti continuerà ad aleggiare una confidenza che sta diventando stucchevole. E anche offensiva. La nostra tennista Sara Errani, oro nel doppio con Jasmine Paolini è stata vittima di sessismo da parte dei commentatori francesi di TMC durante la partita vinta dalle italiane contro le francesi. Così il commento: «A sinistra Sara Errani che è il capo, fa tutto lei: lava i piatti, cucina, pulisce». La rabbia si arricchisce di noia. Basta. Infatti è partita una denuncia da parte dell’Associazione francese delle giornaliste sportive e l’Unione dei giornalisti sportivi: «I commenti sessisti e misogini non trovano spazio in una competizione internazionale», si legge nella nota.

C’è tutto il nostro lavoro nell’arginare questa deriva che trova respiro (poco) e, contemporaneamente, stolidi detrattori (troppi). Un lavoro che caratterizza l’associazione GiULiA giornaliste da sempre e che già nel 2019 ha prodotto Donne Media e Sportidee guida per una diversa informazione, un manifesto in collaborazione con Uisp per sostenere le atlete e le donne nel mondo dello sport nella loro lotta alle discriminazioni che è diventato anche un manuale di facile consultazione. Lo lasciamo qui a beneficio di tutte e tutti, sperando che questa edizione dei giochi sia di sprone per raccontare meglio e di più delle nostre atlete, senza relegarle forzosamente a cliché stantii e forse potremmo assegnare qualche medaglia d’oro anche al miglior racconto giornalistico.

PIÙ AZZURRE D’ORO

Sono 40 le medaglie conquistate dall’Italia. 12 ori, 13 argenti e 15 bronzi. In merito al metallo più prezioso, di queste 12, 9 sono state conquistate dalle atlete azzurre: la squadra di scherma, spada, Rossella Fiamingo, Giulia Rizzi, Alberta Santuccio e Mara Navarria; Alice Bellandi, judo; Marta Maggetti, vela; Jasmine Paolini e Sara Errani, tennis; Alice D’Amato, ginnastica artistica trave; Diana Bacosi, tiro a volo misto; Caterina Banti, vela misto; Chiara Consonni e Vittoria Guazzini, ciclismo su pista; la squadra di pallavolo. Per l’argento le azzurre sono 4: Nadia Battocletti, atletica 10000m; la squadra di scherma, fioretto, Arianna Errigo, Martina Favaretto, Alice Volpi, Francesca Palumbo; Silvana Stanco, tiro a volo, trap; la squadra di ginnastica artistica, Angela Andreoli, Alice D’Amato, Manila Esposito, Elisa Iorio e Giorgia Villa. Infine, per il bronzo, altre 4 azzurre: la squadra di ginnastica ritmica, Alessia Maurelli, Martina Centofanti, Agnese Duranti, Daniela Mogurean, Laura Paris; Sofia Raffaeli, ginnastica ritmica, individuale; Ginevra Taddeucci, nuoto di fondo; Manila Esposito, ginnastica artistica, trave. I numeri dimostrano tanto. Atlete vincenti, atlete che lottano e che mostrano quanto niente possa fermarle. Ma anche atlete che hanno voglia di riscatto, col sorriso e qualche lacrima. Quanto tutto, quindi, non sia finito. Perché le prossime sfide le vedranno sempre e comunque pronte. A Los Angeles 2028.

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