Rassegna sui generis: la settimana di notizie sulle donne (dal 6 all'11 febbraio 2023) | Giulia
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Rassegna sui generis: la settimana di notizie sulle donne (dal 6 all'11 febbraio 2023)

Una settimana di notizie sui media: come e quando si parla di donne? GiULiA prosegue con il suo osservatorio su giornali e web in ottica di genere

Rassegna sui generis: la settimana di notizie sulle donne (dal 6 all'11 febbraio 2023)
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Barbara Consarino Modifica articolo

12 Febbraio 2023 - 21.51


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l Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa, Il Giornale, Il Messaggero, L’Avvenire, Domani, il Fatto quotidiano, Il Manifesto, Il Sole 24 ore, Qn, La Verità, La Gazzetta dello Sport, Tuttosport

Settimana dal 6 febbraio all’11 febbraio
Firme in prima pagina: 784 uomini, 275 donne
Editoriali e commenti: 122
uomini e 32 donne
Interviste:  181 uomini e 56 donne

La settimana si è aperta ancora all’insegna del Caso Cospito e del 41 bis. Ma già martedì la notizia della catastrofe in Turchia e Siria rivoluziona la foliazione dei giornali con le sue migliaia di morti e le città distrutte per sempre. L’apertura di quasi tutti i quotidiani ha grandi foto di bimbi salvati sotto le macerie e così sarà nei giorni successivi.

Altri scelgono temi diversi, appunto: “Zelensky non canta più”, titola il Giornale, segue a ruota La Verità, con foto del presidente ucraino e titolo: “La ritirata di Zelensky” che non è comparso in video al Festival di Sanremo, rappresentato da un testo letto da Amadeus nella serata finale, anzi a notte fonda. Già, perché questa è stata la settimana di Sanremo, contenitore popolare di mille cose e inevitabilmente di polemiche. Cinque giorni di musica, paginate su paginate e scandaletti più o meno preparati, tanto materiale per le solite pagelline che ormai marcano qualsiasi argomento, figuriamoci Sanremo. E poi loro, le co-conduttrici: quest’anno erano quattro, l’influencer Chiara Ferragni, la giornalista Francesca Fagnani, la pallavolista Paola Egonu, l’attrice Chiara Francini alle prese con i monologhi, tradizione ormai usurata del festival e con le poche presentazioni dei cantanti. Le discendenti delle vecchie vallette si prestano a una serie di considerazioni. Sintetizza lo scrittore Jonathan Bazzi su Domani: il potere resta un affare da maschi, i conduttori sono maschi, le co-conduttrici puri accessori luccicanti, chiamate nei loro piccoli spazi a portare contenuti edificanti. E le cantanti e le musiciste idem, poco sostenute dal sistema dell’industria musicale italiana. «E’ la settimana di Sanremo con i suoi ritocchi di make up femminista e di diversità, ci sta mettendo davanti che il potere anche se si tratta di canzonette resta maschile, solo che oggi ha imparato a buttare un po’ di fumo negli occhi. A patto di non essere messo in discussione davvero».   Va ancora più a fondo Elena Stancanelli sulla Stampa: «Lo schema Sanremo mi è sembrato una trappola perfetta, un perfetto esempio di patriarcato silente e subdolo». A proposito, il vincitore è un uomo, Marco Mengoni seguito da altri quattro. Noi abbiamo scelto la foto di uno dei momenti migliori del festival, il duetto fra Giorgia ed Elisa.   

Diritti

Il 9 febbraio 2009, dopo 17 anni trascorsi in stato vegetativo in seguito a un incidente stradale, moriva in una clinica di Udine Eluana Englaro, dopo la sospensione dell’alimentazione forzata. Eluana aveva 21 anni quando era entrata in coma ed è morta quando ne aveva 38. Quel tempo è stato durissimo per la famiglia Englaro, che voleva fosse rispettata la volontà della figlia di morire, espressa con molta chiarezza nel caso si fosse trovata in una situazione come quella che le è effettivamente capitata in sorte. Su Repubblica di lunedì 6, Ezio Mauro firma due pagine di intervista a Beppino Englaro, il papà, che rievoca quegli anni di tormento e le ragioni di una battaglia per la figlia, in nome della libertà di scelta. Intervistatore e intervistato sono il massimo della sobrietà nelle domande e nelle risposte, eppure l’effetto è quanto mai toccante.

Sempre sulla Repubblica di lunedì, ma solo nella cronaca di Milano, la notizia che a breve sarà istituito il registro per il riconoscimento dell’identità alias, il primo in Italia, anche se in alcune scuole ci sono già alcune piccole sperimentazioni. Promotrice della mozione fu a suo tempo la consigliera comunale Monica J. Romano, prima donna transgender eletta a Palazzo Marino.  Il registro è indirizzato alle persone transgender costrette a vivere in un limbo giuridico per cui devono mantenere il proprio nome anagrafico e il sesso di origine fino alla conclusione giudiziale di rettifica anagrafica. Così, almeno in ambito comunale, avranno una vita meno difficile. Se Repubblica porta la notizia solo in locale, i giornali di destra e centrodestra la riprendono per criticare l’istituzione del registro, considerandola una inutile eccentricità del sindaco Giuseppe Sala. Critiche anche da una parte del mondo femminista, quella, per intenderci, contraria al Ddl Zan.

Dopo la svolta del 2019 con la legalizzazione dei matrimoni Lgbt adesso Taiwan amplia la platea anche ai matrimoni transnazionali. La notizia è sul Manifesto di sabato. Via libera anche se il partner straniero proviene da un paese in cui le unioni gay sono vietate, restano esclusi i cittadini provenienti dalla Cina. E ora, dopo questa decisione, il governo metterà mano alle adozioni.  

Bollino rosa sugli appalti, addio 

Doveva essere un elemento di novità e magari indicativo di correttezza aziendale, ma tant’è. Se ne accorgono il Sole24 ore di martedì, Domani e il Manifesto. Interpellato dalle agenzie il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini concede che sì, se ne può riparlare durante l’iter parlamentare, ma lui è contrario a imporre altri oneri e burocrazie agli imprenditori, che già hanno tanti problemi… e dunque tanti saluti al bollino.

In tema di lavoro Avvenire di sabato ci racconta il rapporto Inapp (Istituto nazionale analisi politiche pubbliche) che ha coinvolto 45 mila lavoratori e lavoratrici tra i 18 e i 74 anni: evidenzia che il 60 per cento fa gli straordinari ma in un caso su quattro non riceve alcun compenso. Gli uomini sperimentano sia il lavoro notturno, sia quello festivo. Alle donne viene richiesto l’impegno supplementare al sabato o nei festivi. C’è rigidità anche nelle richieste di permessi e in questo caso gli uomini hanno più autonomia, le donne subiscono più pressioni. Inoltre anche il part time involontario coincide quasi sempre con orari nei week end o di sera. Insomma, tempi di vita decisamente difficili per le donne, soprattutto se ci sono figli, questo spiega tante cose anche sulle culle vuote. E su questo ultimo argomento, con i 390 mila nuovi nati nel 2022, insiste la presidente Meloni in una intervista al Sole: «Abbiamo iniziato – dice Meloni – a lavorare esattamente in questa direzione, perché consideriamo la questione demografica una priorità assoluta. Qualche giorno fa l’edizione internazionale del New York Times titolava con una domanda: Italia destinata a scomparire? Ecco, io non credo che ci possiamo arrendere a questo destino e occorre fare di tutto per invertire la tendenza. Con la manovra abbiamo dato i primi segnali. C’è un pacchetto di misure a sostegno della famiglia e della natalità che vale complessivamente un miliardo e mezzo di euro: dall’aumento dell’assegno unico alla riduzione dell’Iva per i prodotti della prima infanzia, dal rafforzamento del congedo parentale, alle agevolazioni e agli interventi per aiutare i giovani under 36 a comprare una casa allargando dal 50 all’80 per cento la garanzia dello Stato, va sostenuto il lavoro femminile e potenziati gli asili nido».

Violenza di genere

Questa settimana speravamo di non dover scrivere di femminicidi: invece ne dobbiamo registrare ben due a Riposto, Catania, per opera della stessa mano, un uomo condannato all’ergastolo per fatti di mafia e in permesso premio. Salvatore La Motta, 63 anni, si è ucciso davanti alla caserma dei carabinieri dopo aver fatto due vittime: Carmela Marino, 47 anni, è stata colpita al volto con un solo colpo di pistola ed è stata uccisa nello stesso modo anche un’altra donna, a lei collegata, Santa Castorina di 50 anni. Ignoto il movente, è stato però fermato un altro uomo che lo avrebbe accompagnato da un posto all’altro. Con tutta evidenza La Motta non era al 41 bis, ma nessuno lo ha controllato mentre girava armato per il paese per sistemare conti in sospeso. Ma questi sono i paradossi della giustizia.

E di giustizia dobbiamo parlare ancora leggendo un commento su Repubblica dell’8 febbraio di Brunella Giovara che ci racconta l’incredibile storia della mancata estradizione del padre di Saman Abbas la ragazza pakistana uccisa a Novellara il 30 aprile del 2021 e sepolta nelle campagne vicino casa. Dunque siamo in Pakistan, dove l’uomo è stato arrestato, ma le udienze fissate sono andate deserte perché mancava il giudice e poi ancora l’avvocato e poi ancora il funzionario dell’agenzia investigativa statale che doveva illustrare il contenuto del mandato di cattura internazionale e via fino ad arrivare al 7 febbraio, quando ancora non è successo nulla. Il processo italiano è cominciato questa settimana, senza il padre e la madre, ancora latitante. Ma se ai pakistani evidentemente interessa poco della loro connazionale, conclude Giovara, forse qualcosa dovrebbe interessare a noi, al nostro Ministero degli Esteri.

Come piccola consolazione abbiamo trovato su alcuni giornali (pochi) la vicenda di una ragazza giovanissima, originaria del Bangladesh che era stata segregata dal padre in Val d’Ossola per una ventina di giorni perché la famiglia non aveva accettato la sua relazione con un connazionale, avendo già organizzato un matrimonio combinato con un altro uomo. Stavolta, però, il fidanzato vero, non riuscendo a mettersi in contatto con lei, si è rivolto senza perder tempo ai carabinieri: ha avuto ascolto, loro hanno bussato alla porta della famiglia e hanno liberato e portato al sicuro la ragazza e arrestato il padre. Così abbiamo imparato almeno due cose: c’è stata in questo caso una maggior sensibilità investigativa e anche un’accresciuta consapevolezza dei propri diritti, pure in terra straniera, da parte delle immigrate. E ciò è sicuramente un bene, confermato domenica da un’altra storia a lieto fine per una ragazzina di 16 anni, milanese di origine egiziane, che per porre fine ai maltrattamenti in casa si è rivolta alle sue insegnanti che a loro volta sono andate alla polizia: rapida indagine e allontanamento della studentessa. Lo leggiamo sul Corriere della Sera online.

Sta molto male, invece, la ragazza che ha denunciato una violenza di gruppo da parte del figlio di Beppe Grillo, Ciro e dei suoi amici, Francesco Corsiglia, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria. A parte la lunghezza eccessiva del processo che si sta svolgendo a Tempio Pausania (i fatti risalgono all’estate del 2019), la mamma della giovane donna, sentita come testimone, ha detto che la figlia è ridotta a “un corpo che cammina” e che è arrivata a dirle: “mamma, sono stufa di sentire il mio respiro”. Quattro ore di testimonianza serrata per raccontare il disagio quotidiano, i disturbi alimentari e quelli del sonno. Una vita difficile, commenta anche l’avvocata Giulia Bongiorno, parlando di un dolore che ha cambiato la vita di tutta la famiglia, vasi comunicanti di sofferenza a cui, diciamo noi, non è stato estraneo il clima processuale, con continue fughe di notizie e pubblicazione di chat private. Della ragazza è stata pubblicata persino una foto, molto riconoscibile, sulla Verità di mesi orsono, dimostrando che sulla tutela delle donne che si rivolgono alla giustizia siamo ancora tanto indietro, purtroppo.

E a proposito, invece, di violenze verbali, in questo caso via web, abbiamo trovato sul Messaggero di venerdì 10 febbraio un servizio di Michela Allegri, richiamato in prima, sull’assoluzione degli hater che avevano preso di mira Maria Elisabetta Alberti Casellati, all’epoca presidente del Senato e oggi ministra della Funzione pubblica. Scrivere “Uccidiamo la Casellati”, leggiamo, non può essere considerato un reato, ma espressione colorita di una rabbia politica nei confronti delle istituzioni, per di più poco concreta perché a distanza. La tesi del pm Erminio Amelio è stata accolta in pieno dal gip Paolo Scotto Di Luzio che ha archiviato il procedimento nei confronti di due indagati di 64 e 44 anni.  Gli inquirenti aggiungono che difficilmente la Casellati si sarebbe accorta della situazione se il suo staff non l’avesse avvisata e che comunque i due odiatori esternavano da lontano. All’indomani, sempre sul quotidiano romano, Luciano Violante, ex magistrato e deputato, esprime le sue perplessità: «Va letto tutto il provvedimento ma in base a quanto sappiamo la decisione appare criticabile perché sembra ignorare l’effetto moltiplicatore dei social. Una minaccia per lettera resta confinata uno a uno, una minaccia via social no…e poi, dire di voler ammazzare qualcuno è una scelta politica? Ovunque in Italia e nel mondo si moltiplicano le raccomandazioni contro il linguaggio d’odio. Uno sforzo civile meritevole e importante. Se poi però questo linguaggio d’odio può apparire legittimato nei tribunali si finisce per rendere possibili perversioni pericolose. Nessuno deve dimenticare che le parole si pronunciano perché ci siano azioni. E dunque guai a sottostimarle»

Il broncio di Meloni

Non è un bel periodo per la presidente del Consiglio stretta fra un entourage che le procura una serie di grattacapi, vedi Donzelli e pure l’uomo del tiro a segno Fazzolari e la fatica di governare e di relazionarsi con i partner europei. I giornali di opposizione l’attaccano apertamente e questo è normale, quelli di centrodestra la sostengono, ma con molti distinguo, dato che questa settimana è stata pure l’ultima di campagna elettorale per le regionali in Lombardia e nel Lazio, dove si misureranno i rapporti di forza fra i tre partiti di centrodestra, superata la soglia del 100 giorni di governo.  Ma parlare di broncio della premier, esclusa come una Cenerentola dalla cena di gala in onore di Zelensky, non ci sembra appropriato. Avete mai letto del broncio di Draghi, o di Conte o di Mattarella? 

Ragazze Stem

Talenti tecnologici femminili, fatevi avanti. In occasione della Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nelle scienze (11 Febbraio), il ministero dell’Università ha ricordato che solo il 33 per cento dei ricercatori sono donne, nonostante rappresentino il 45 per cento delle laureate. E il Messaggero ci ricorda che spuntano community social dedicate alle donne nel mondo delle discipline scientifiche. Una strada tutta in salita, come descrive bene su Repubblica un lungo servizio di Daniela Hamaui partendo dalla ricerca di Camilla Guaiaschi, docente all’Università di Losanna e a quella del Salento, che nel libro Doppio Standard (Carocci editore) analizza appunto il doppio standard a cui sono sottoposte le accademiche e professioniste impegnate nelle discipline stemm rispetto ai loro colleghi. Qualche numero a proposito della medicina: «Le donne tendono a laurearsi con voti leggermente migliori (108/110 contro 107/110) e ricevono più spesso la lode (51,5% contro 45%) eppure guadagnano il 38% in meno degli uomini. E soprattutto la maggioranza dei medici di primo livello (il 57%), sono donne, ma solo il 38% arriva ad essere vice primario e il 23% primario».

Ragazze dello sci

Se avessimo voluto la prova inconfutabile questa settimana l’abbia avuta in pieno: lo sport al femminile esiste solo quando si tratta di raccontare le vittorie. E stavolta i giornali hanno potuto gioire (addirittura recuperando titoli in prima pagina) grazie ai successi, per certi versi inaspettati, di Federica Brignone nella combinata e di Marta Bassino nel super gigante ai mondiali di sci. La settimana sarebbe stata perfetta se nella libera Sofia Goggia non avesse sciaguratamente inforcato ma sulla prestazione della nostra numero uno ha probabilmente influito psicologicamente il grande dolore che ha travolto lei e le sue compagne per la morte a soli 37 anni di Elena Fanchini. Alla tragedia della sciatrice bergamasca i giornali hanno dedicato pezzi molto commoventi, sottolineando la forza di questa ragazza prima di fronte ai numerosi incidenti che hanno costellato la sua carriera, poi davanti al tumore. Per il resto sia sui giornali sportivi sia su quelli generalisti lo sport delle donne continua a non interessare: e probabilmente si perde l’occasione di recuperare lettori, visto il crescente impegno delle stesse nelle varie discipline. 

Questa rassegna è un lavoro di squadra e non sarebbe possibile realizzarlo altrimenti. Grazie quindi per le segnalazioni a Caterina Caparello, Gegia Celotti, Laura Fasano, Paola Rizzi, Luisella Seveso e Maria Luisa Villa

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