Rassegna sui generis: la settimana di notizie sulle donne (dall'8 al 13 gennaio 2024) | Giulia
Top

Rassegna sui generis: la settimana di notizie sulle donne (dall'8 al 13 gennaio 2024)

Una settimana di notizie sui nostri media: come e quanto si parla di donne? E quante sono le donne a scrivere del mondo. GiULiA prosegue con il suo osservatorio sui giornali in ottica di genere.

Rassegna sui generis: la settimana di notizie sulle donne (dall'8 al 13 gennaio 2024)
Preroll

Paola Rizzi Modifica articolo

14 Gennaio 2024 - 17.38


ATF

Il Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa, il Messaggero, Il Giornale, Libero, Avvenire, Domani, Il Fatto quotidiano, Il Sole 24 ore, Il Manifesto, La Verità, Qn, La Gazzetta dello Sport, Tuttosport e uno sguardo al web

Settimana dall’8 al 13 gennaio
Firme in prima pagina: 931 uomini, 261 donne
Editoriali e commenti in prima pagina: 161 uomini e 22 donne
Interviste:  248 uomini e 54 donne

La Treccani ha indicato “femminicidio” come parola del 2023,  ma visto come vanno le cose ci è sembrata adatta per illustrare la nostra rassegna anche in questo primo scorcio del 2024, che vanta un primato: 5 donne uccise nei primi 12 giorni. Per la precisione:  2 gennaio, Rosa D’Ascenzo; 5 gennaio Maria Russ e Delia Zarniscu; 11 gennaio Ester Palmieri; 12 gennaio Elisa Scavone. Ci eravamo lasciate alle spalle il 2023 con l’emozione e l’ampio  e controverso dibattito sul patriarcato seguito all’omicidio di Giulia Cecchettin, con l’idea di un possibile cambio di passo,  ma presto siamo ripiombati nel solito tran tran. E anche nelle solite cattive abitudini. Apriamo infatti questa rassegna citando un articolo del Corriere della sera del 12 gennaio che vince la medaglia (ne diamo poche, solo quando è necessario) di peggior incipit letto negli ultimi anni su un giornale a proposito di un femminicidio, in questo caso quello di Ester Palmieri, madre di tre figli ammazzata dal marito che non accettava la separazione. L’incipit dunque: «Un abbraccio, forse. L’ultimo. Ma questa volta è stato fatale».  Nessuno ha assistito all’omicidio, l’assassino a sua volta si è impiccato senza confidarsi, l’accoltellamento è avvenuto da dietro: un’invenzione pura quella dell’“abbraccio, forse” che serve solo a “romanticizzare” il racconto di un omicidio di genere e viola la regola numero 1 del giornalismo di qualunque cosa si parli: attenersi alla verità sostanziale dei fatti. Al Corriere è piaciuto tanto che ci ha fatto anche il titolo “L’ultimo abbraccio e la coltellata Ester uccisa dall’ex, avevano tre figli“. Per la serie la destra non sa cosa fa la sinistra segnaliamo un commento di Dacia Maraini, uscito sempre sul Corriere , sul femminicidio come “tendenza”, non raptus ma format che si ripete sempre uguale e quindi svela una tendenza culturale, una decisione collettiva di punire l’emancipazione femminile.

Sulla questione culturale è intervenuto anche il Financial Times, ripreso da diverse testate italiane, che ha messo in relazione il successo di C’è ancora domani di Paola Cortellesi (film tra i più visti di sempre) con il dibattito seguito alla morte di Cecchettin e la rivolta al machismo italiano. Il Messaggero riporta i dati di Differenza donna che gestisce il numero 1522 antiviolenza e stalking, secondo cui dopo l’uccisione di Giulia Cecchettin si sono moltiplicate le chiamate: erano 5000 ad ottobre, sono state 13mila a dicembre. Complessivamente nel 2023 il numero ha ricevuto 32.430 chiamate.

Dati che mostrano come le donne ammazzate siano solo la punta di un iceberg: la cronaca è un susseguirsi di casi di stalking, di minori violate, di maltrattamenti, di violenze sessuali. Una certa eco ha avuto sui giornali la vicenda di due ventenni ex pallanuotisti di serie A accusati di violenza di gruppo da una coetanea. Il fatto è avvenuto nel 2022, ora siamo all’incidente probatorio, i due sono accusati anche di revenge porn perché hanno ripreso la scena e la difesa pensa di usare i video, girati senza consenso, per dimostrare il consenso al rapporto sessuale. Laddove si dimostra come l’immagine di una donna in qualunque modo ottenuta può essere sempre usata contro di lei. Una new entry in tema di violenza di genere digitale riguarda l’inchiesta aperta da Scotland yard su uno stupro di gruppo avvenuto ai danni dell’avatar di una 16enne nel Metaverso. Libero in un pezzo di Claudia Osmetti ci informa che l‘Interpol sta per aprire uno spazio per i crimini virtuali sulle persone e non solo per furti di dati o di denari.

Stereotipi e generi

Di dati ha parlato anche Paola Severino, presidente della LUISS School of Law all’inaugurazione dell’anno accademico 2023/24, il cui intervento è stato riportato integralmente su il Sole 24 ore con il titolo “Il lungo cammino ( da completare) della parità di genere”, dove si cita il Gender Gap Index: ad oggi nessun paese ha raggiunto la parità tra i sessi, per arrivarci ci vorranno 131 anni.  Intanto su Qn apprendiamo che a scuola nasce la quota blu, la parità di genere a favore degli uomini, per riequilibrare la percentuale di maschi in cattedra. Attualmente su 100 maestri e professori 83 sono donne.  

A proposito di scuola ed educazione alla cerimonia della Luiss c’era anche Cortellesi che ha fatto una lezione, che potete ascoltare sopra, in cui ha parlato di molte cose, tra cui anche tra il serio e il faceto degli stereotipi sessisti contenuti delle fiabe per bambini, molto discussa, dileggiata naturalmente dai giornali della destra, che ha trovato nella regista romana il nuovo bersaglio dopo Michela Murgia. Anzi la Verità ci ha fatto due pagine, mettendo la scrittrice sarda da una parte e la romana dall’altra. Nei giorni in cui è uscito il libro postumo di Murgia, “Dare la Vita“, fatto salvo un pezzo di  Mario Sechi, direttore di Libero, che ne fa un ritratto a suo modo empatico a partire dalle comuni origini sarde, per poi dire sostanzialmente che con il tempo ha perso la via strumentalizzata da una cerchia di vampiri, sono unanimi a destra le critiche al modello queer proposto dalla scrittrice scomparsa. Ci ha colpito un pezzo della scrittrice Silvana De Mari su la Verità che spiega come l’odio per il maschio sia odio verso l’Occidente a partire dalle crociate: «Per la sostituzione etnica già prevista dal 1974 dall’Europa unita, è necessaria la totale colpevolizzazione e devirilizzazione del maschio».

Leggendo il Giornale scopriamo invece nuovi paladini della mascolinità, anzi del “mascolinismo”, come tale Jack Donovan, ex satanista, gay che si autodefinisce androfilo e non omosessuale perché è una parola svilente,  che scrive libri tipo “La via degli uomini” e “Una bestia più completa“, ed esorta alla riconquista della supremazia maschile contro le femministe e la cultura woke esaltando una mascolinità dura e selvaggia, una specie di energumeno allo stato brado che si muove in branco e va a caccia più o meno a mani nude.

Ma i temi sollevati dalla Murgia nel suo libro, tra cui la famiglia queer e la gestazione per altri, riverberano anche in un altro fatto della settimana: la presa di posizione del Papa contro la cultura gender (pericolosissima perché cancella le differenze, scrive Avvenire)  e la Gpa,  per la quale chiede l’istituzione di reato universale, facendo titolare a LiberoIl Papa è meloniano”.  Altro tema è la rivolta dei vescovi africani contro l’apertura alla benedizione delle coppie gay contenuta nella dichiarazione dottrinale del papa “Fiducia supplicans“, redatta dal cardinale progressista Victor Manuel Fernandez, prefetto del dicastero della dottrina della fede, messo sulla graticola sulla Verità per un suo scritto giovanile del 1998, “La pasìon mistica“, in cui, con un linguaggio esplicito, parlava alle giovani coppie di sesso, orgasmo e fede. Intervistato dal Corriere e dalla Stampa dice che oggi non utilizzerebbe più quel linguaggio.  Nel frattempo i vescovi africani hanno ottenuto l’esenzione dalla benedizione alle coppie gay: in un approfondimento su Domani emerge come quello africano sia il continente più omotransfobico del mondo, con eccezione di Sudafrica e Capo Verde. Spicca il presidente del Burundi che poche settimane fa ha proposto la lapidazione per i gay. Su Domani il giurista Luigi Testa auspica un rinnovato impegno dell’ attivismo lgbtq , ambito nel quale si stanno facendo grandi passi indietro in tutto il mondo. Negli Usa, in Africa e anche in Europa, dove le leggi contro la “propaganda lgbtq” sono sempre un tema elettorale caldo. L’ Italia non è da meno, con una palese indifferenza del governo ai temi. Nella migliore delle ipotesi.

Sulle questioni di identità di genere segnaliamo un imbarazzo metodologico. Abbiamo inserito nel conteggio delle interviste a donne anche quelle alla calciatrice samoana Jaiyah Saelua e a Vlamimir Luxuria, perché entrambe parlando di sé si riconoscono nel genere femminile, ma la questione è più insidiosa: Saelua  la cui storia è raccontata nel film “Chi segna vince”,  parla della sua condizione di fa’afafine, che in samoano descrive chi non si riconosce in un genere ed è molto rispettata nella sua cultura tradizionale. Luxuria invece, che sui documenti è ancora Wladimiro Guadagno e non ha completato la transizione, si definisce una non binaria ante litteram.  

Politica e influencer

In primo piano il duello tra Meloni e Schlein che potrebbero entrambe candidarsi alle europee, nonostante alleati a destra e supposti “padri” putativi a sinistra (Prodi) lo sconsiglino. Il primo a sottolineare il cortocircuito che verrebbe a crearsi nel Pd se si candidasse Schlein come capolista in tutti i collegi è il Fatto del 10 gennaio, perché così saranno penalizzate le donne:  nel momento in cui lei rinunciasse lascerebbe il posto al secondo, un uomo, per l’alternanza di genere. Una scelta controintuitiva per una leader apertamente femminista. Il Corriere raccoglie poi le fibrillazioni delle donne dem  Boldrini, Zampa. De Micheli, Moretti.  
Sul fronte internazionale continua la crescita dell’astro nascente Nikki Haley, repubblicana in funzione antiTrump, attesa per oggi al primo appuntamento alle primarie. Ma la politica americana e non solo continua ad essere scossa dal fenomeno Taylor Swift. Come hanno raccontato i giornali il 12 gennaio- la Stampa ci ha fatto anche la fotonotizia di prima pagina- la cantante secondo i neocon sarebbe una spia che manipola il voto per conto dei dem, una eventualità  presa talmente sul serio che  la portavoce della Casa Bianca l’ha dovuta smentire. Ma anche il vicepresidente della commissione Ue Margaritis Schinas si è appellato a lei per convincere i giovani europei a votare, visto il successo che aveva avuto un suo invito ai fan Usa ad iscriversi alle liste elettorali. Quanto sia considerato decisivo un battito di ciglia di Taylor lo dimostra anche la propaganda pro Russia che utilizza falsi post di Taylor su fb per condizionare l’opinione pubblica.

Del resto lei è un influencer globale da 279 milioni di follower su Instagram, dieci volte tanto i 29 milioni della nostra ex eroina nazionale Chiara Ferragni, le cui disgrazie scatenate dal Pandoragate hanno dominato le pagine dei giornali per tutta la settimana, a partire dalla notizia di un’indagine aperta su di lei e sulla ad Alessandra Balocco per truffa aggravata. Tra aziende che l’abbandonano (Coca Cola, Safilo), contratti rescissi, multe milionarie e conti in tasca, il modello di business degli influencer è stato vivisezionato. Coincidenza vuole che nel frattempo Agcom abbia prodotto linee guida più severe, applicabili agli influencer dal milione di follower in su, equiparati ad editori. Su Repubblica  Andrea Tolomeiu, nickname su Instagram influenceronesta, dice che a proposito di pubblicità ingannevole si è scoperta l’acqua calda.  Varie influencer, tra cui ClioMakeUp, al Corriere dicono che per loro, che sono oneste, con le nuove regole non cambierà nulla. In questa furia iconoclasta contro Ferragni, che finora ha perso “solo” 320mila follower, segnaliamo che nel suo podcast quotidiano su Il post il vicedirettore Francesco Costa sottolinea come questo accanimento dei media tradizionali mal si concili con il fatto che le regole di Agcom sono quasi regolarmente violate dai quotidiani.

Sport e mamme

Se vogliamo sapere cosa succede nello sport praticato dalle donne non dobbiamo leggere i giornali. Vi consigliamo di seguire per questo la rubrica settimanale su Facebook della nostra Caterina Caparello. Sui quotidiani generalisti è il vuoto pneumatico tranne quando si deve parlare di atlete neomamme o performance ineludibili, tipo Sofia Goggia e Paola Egonu. La mamma atleta della settimana è Francesca Lollobrigida, bronzo agli europei di pattinaggio a sette mesi dal parto, sul podio con il suo bambino e intervistata da Repubblica. Da notare un approfondimento su Avvenire sulla crisi del tennis femminile, finita la stagione di Schiavone e Pennetta, in occasione degli Australian Open. Ne parla anche Qn sotto il capitolo mamme, in un pezzo dedicato alle tenniste Angelique Kerber, Naomi Osaka e Karoline Wozniasck che tornano in gara ad un anno di distanza, appunto, dalla maternità.  Non ha remore ad usare la parola patriarcato il nuovo allenatore della nazionale di volley Julio Velasco, un mito che dispensa parole di buon senso in un’intervista a Repubblica intitolata “Alleno donne, è la loro rivoluzione“, dove dice che vuole giocatrici autorevoli e non dipendenti né dalle compagne né dall’allenatore: «Fa parte della cultura del patriarcato credere che le donne debbano i sempre dipendere da qualcun altro». E poi sulla vita fluida di Egonu: «Il cambiamento definitivo avverrà quando nemmeno parleremo dell’orientamento sessuale, ognuno fa quello che gli pare».

Altre storie

In un’intervista su Repubblica la ministra polacca dell’Eguaglianza del governo Tusk, Katarzyna Kotula, femminista e attivista dei diritti lgbtq, leader delle proteste sull’aborto, parla dei suoi programmi rivoluzionari: a breve sarà varata una legge sulle unioni civili omosessuali e in un paese ipercattolico la prossima mossa sarà una netta separazione tra Stato e Chiesa, anche con il taglio delle sovvenzioni.

Sulla Stampa un brillante pezzo di Alberto Mattioli ci informa che per la prima volta dal 1833  sui troni europei ci sono solo uomini, con l’abdicazione di Margherita di Danimarca. Ma è un caso: al prossimo giro è prevista un’ondata di regine, le primogenite sono parecchie. Unica eccezione il Lichtenstein dove la corona va solo ai maschi (lì le donne votano solo dal 1984) ma l’Europa ha chiesto di aggiornarsi.

La Consulta aggiorna il vocabolario: nelle sentenze della Corte Costituzionale sparisce la dicitura “i signori” anche alla luce delle 8 giudici donne che ne hanno fatto parte. Idem per l’ aggiunta di  “la relatrice” ( e non il relatore sempre e comunque) nel caso parlino giudici donne.  Una scelta definita “politica” dal Sole 24 ore che si distingue nettamente da “il presidente” voluto da Meloni e  ovviamente dileggiata sul Giornale da Massimiliano Parente. Applaudono sulla Stampa Oliva De Conciliis di Rete per la parità e Maria Tiziana Lemme di Femminile maschile neutro, che hanno proposto una legge sulla revisione del linguaggio in ambito giuridico e amministrativo e dei titoli funzionali.

Sul fronte delle guerre segnaliamo nella quotidiana rubrica di Sami al-Ajrami da Gaza su Repubblica Il fardello delle donne di Rafah, che non riescono a far curare i figli ammalati, mutilati, traumatizzati,  costrette a vivere in condizioni igieniche spaventose, ma con l’effetto paradossale della diminuzione del tasso di violenza all’interno  delle famiglie. Fabiana Magrì  invece sulla Stampa torna sul tema delle violenze sessuali nei confronti delle israeliane, denunciate anche da una donna ostaggio liberata che racconta di quattro giovanissime compagne di prigionia molestate quotidianamente dai miliziani. Sia Corriere che Repubblica hanno rilanciato con evidenza l’appello della regista Andrèè Ruth Shammah  per l’istituzione del reato di femminicidio di massa dopo gli stupri del 7 ottobre, già 15mila le adesioni.

Chiudiamo con una bella storia, raccontata su Avvenire da Antonella Mariani: dopo la laurea in Bocconi con una tesi sulla ricostruzione del Libano post guerra civile, Roberta Ventura, cuneese, oggi 49 anni, ha lavorato nella finanza a Londra. Nel 2013 visita il campo profughi a Jerash, Giordania, dove vivono migliaia di palestinesi da più generazioni. La malattia più diffusa è la depressione. Ventura nota una donna sorridente, sta ricamando. Così la manager decide di provare a coniugare etica e business e ad aiutare donne povere e depresse a diventare persone attive, più felici e agenti di cambiamento.  Nel 2014 nasce la società Sep Jordan (Social enterprise project) che con un nucleo di 20 ricamatrici comincia a produrre ed esportare prodotti di alta qualità. Oggi le ricamatrici sono 500 e guadagnano somme sufficienti per mantenersi e fare studiare i loro figli. L’87 per cento di loro dichiara miglioramenti nei sintomi della depressione.

Questa rassegna stampa è frutto del lavoro di squadra di  Caterina Caparello, Gegia Celotti, Barbara Consarino, Laura Fasano, Paola Rizzi, Luisella Seveso e Maria Luisa Villa

 

Native

Articoli correlati