Rassegna sui generis: la settimana di notizie sulle donne (dal 29 maggio al 3 giugno 2023) | Giulia
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Rassegna sui generis: la settimana di notizie sulle donne (dal 29 maggio al 3 giugno 2023)

Una settimana di notizie sui nostri media: come e quanto si parla di donne? E quante sono le donne a scrivere del mondo. GiULiA prosegue con il suo osservatorio sui giornali in ottica di genere

Rassegna sui generis: la settimana di notizie sulle donne (dal 29 maggio al 3 giugno 2023)
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Paola Rizzi Modifica articolo

4 Giugno 2023 - 07.13


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Settimana dal 29 maggio al 3 giugno
Firme in prima pagina: 907 uomini, 231 donne
Editoriali e commenti in prima pagina: 180 uomini e 29 donne
Interviste:  224 uomini e 64 donne

Il Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa, Il Giornale, Libero, Il Messaggero, Avvenire, Domani, Il Fatto quotidiano, Il Sole 24 ore, Il Manifesto, La Verità, Qn, La Gazzetta dello Sport, Tuttosport e un’occhiata al web.

Prima di parlare di cose serie, anzi drammatiche, una breve premessa partendo dai numeri, che è una delle chiavi di questa rassegna stampa. Questa settimana per ben due giorni, il 29 maggio e il 3 giugno, la Gazzetta dello sport non ha pubblicato nemmeno una breve sullo sport femminile: zero tituli. Fine della premessa.

Rubrica femminicidio

La storia atroce di Giulia Tramontano, la giovane incinta al settimo mese uccisa dal compagno dopo che aveva scoperto la sua doppia vita ha giustamente monopolizzato tutti i giornali. Anche qui una premessa sui dati: sui giornali abbiamo letto che i femminicidi dall’inizio dell’anno sono stati 39, 45, 47. La verità che ancora non esiste un registro dei femminicidi, ed è uno scandalo. Dal punto di vista della cronaca giudiziaria abbiamo imparato la differenza tra “premeditazione” e “preordinazione”: secondo la gip Angela Minerva quello che a tutti noi e ai pm sembrava un omicidio premeditato sarebbe stato solo preordinato, cioè progettato sì, ma all’ultimo minuto, così come non ci sarebbe stata crudeltà.
Tutti i giornali si sono molto interrogati sul che fare per contrastare queste morti. Abbiamo individuato due linee di pensiero: una che punta su quello che devono fare le donne per difendersi dalla violenza maschile e un’altra che ribalta il ragionamento e si chiede cosa devono fare gli uomini per smettere di essere violenti. Sulla prima linea si è creato un singolare cortocircuito tra social e informazione che ha colpito La Stampa, giornale sempre attento alle questioni di genere. Sui social è diventato virale l’hashtag #losapevamotutte, ossia tutte appena si è saputo della scomparsa di Giulia abbiamo dato per scontato che a farla sparire fosse stato il fidanzato. All’hashtag si è agganciata anche la vicedirettrice Annalisa Cruzzocrea con un editoriale uscito su Stampa.it e rilanciato su twitter  con il titolo: “Al paese serve un’opera di educazione profonda: dobbiamo insegnare alle ragazze a salvarsi”

Un titolo che lasciava intendere che quelle da educare fossero le ragazze e non i maschi e che ha scatenato molte critiche, anche da parte di GiULiA e che poi è stato cambiato. Ma Cuzzocrea il giorno dopo nel suo podcast ha tenuto il punto sul fatto che nell’attesa che siano gli uomini ad essere rieducati a relazioni mature e paritarie il dato di fatto è che le ragazze corrono dei rischi e devono imparare a leggere i segnali. Un tema che ritorna nell’appello della procuratrice aggiunta di Milano Letizia Mannella : «Non andate all’ultimo incontro chiarificatore», come a dire che non si deve essere imprudenti. Una linea capovolta da un altro magistrato, Fabio Roia, da sempre impegnato nel contrasto alla violenza di genere che dice chiaro e tondo intervistato da Repubblica che la prevenzione non significa dire alle donne cosa devono fare per proteggersi ma «la prevenzione è far capire agli uomini  che non devono aggredire e insultare le donne, che devono rispettare la loro autonomia». Per Roia alla violenza degli uoini sulle donne «manca la condanna sociale, anche tra i giovani c’è l’idea del predominio maschile», sottolineando che  la fascia d’età di chi commette questi reati va dai 18 ai 35 anni.

Insomma il patriarcato non è una roba da vecchi, come ricorda su Avvenire Stefano Ciccone presidente dal 2007 di Maschile Plurale. «La violenza nasce nella normalità, non è frutto di patologie . È quella normalità che va cambiata. MP fa incontri nelle scuole. In una prima media un ragazzino ha detto: vorrei una donna che mi lasci in pace. Questa è una frase che sentiamo dagli adulti, che la dica un ragazzo ci dice quanto sia radicato il modello maschile: avere relazioni che non vincolino ma mantenere il controllo sulle donne. Qualsiasi altro modello viene sminuito a livello sociale». In questo i media danno il loro contributo, come ricorda la sociologa Flaminia Saccà, responsabile di Step, osservatorio sulla rappresentazione sociale della violenza di genere, intervistata dal Fatto: «Da un’analisi condotta su più di 16.715 articoli di stampa su casi del genere emerge che troppo spesso la violenza viene rappresentata come una reazione in qualche modo comprensibile». Una riflessione critica sul racconto morboso che spesso viene fatto dei femminicidi lo ha fatto il sociologo Massimiliamo Panarari in un commento sulla Stampa intitolato “Se il delitto diventa uno spettacolo pulp“.
A questo proposito ci ha colpito in questi giorni vedere come cambia titolare una notizia in un modo o nell’altro. In questo caso si tratta dell’altro femminicidio della settimana, quello di Pierpaola Romano. Il Corriere ha titolato “Poliziotta assassinata da un collega. Lo aveva lasciato da pochi giorni“. La Stampa: “Pierpaola, poliziotta assassinata dal collega che non accettava la fine della relazione“. Cambia.

Sul caso di Giulia si è poi innestata un’altra questione: le ipotesi di reato parlano oltre che di omicidio di interruzione non volontaria di gravidanza. Per i giornali della destra e per il cattolico Avvenire si dovrebbe parlare invece di duplice omicidio. Avvenire tra l’altro mostra come dai dati dei centri antiviolenza emerga che sono il 12 per cento le donne per cui le violenze del partner aumentano durante la gravidanza. E per il 5 per cento iniziano proprio con la gravidanza.

In conclusione per la serie l’orrore non ha mai fine segnaliamo la notizia data da Repubblica sulle accuse dell’ex moglie a Omar, quello di Erika e Omar e della strage di Novi Ligure. Pagato il suo conto con la giustizia per quella mattanza, ora 40enne e in fase di separazione dalla moglie è accusato da questa di indicibili violenze, da veri e propri stupri a vessazioni continue, violenza economica e psicologica e anche minacce alla figlioletta. Lui nega.

Maternità e diritti riproduttivi

E qui passiamo all’altro tema incandescente della settimana, ossia il primo via libera in Commissione Giustizia alla Camera all’introduzione del reato universale per la maternità surrogata, applicabile però solo per i cittadini italiani. I giuristi mettono tutti l’accento sul pasticcio giuridico.  Su Qn  la giurista Carla Bassu ragiona sulle contraddizione del testo e sottolinea come rispetto a omicidi, stupri, schiavitù, persecuzione, sterminio e tortura, la Gpa ( Gestazione per altri) non sia assimilabile a questi orrori per obiettiva mancanza di requisiti. Basti pensare che in alcuni Paesi la pratica non solo è permessa ma addirittura incentivata. Su questo fa un lungo ragionamento Conchita De Gregorio sulla Stampa partendo da un’analisi della Fondazione Veronesi che si è dichiarata a favore della Gpa e smonta il fatto che le donne gestanti per altri siano tutte povere, deboli, fragili, schiavizzate. «La realtà è che nei 40 Paesi in cui la pratica è consentita, sovente rimborsata dal servizio sanitario nazionale, le regole a tutela delle gestanti sono chiare e fermissime».  De Gregorio cita studi che mostrano che le madri per altri sarebbero spesso in condizioni economiche migliori delle coppie richiedenti. Sempre la Stampa intervista una madre surrogata americana di 29 anni, con due figli e un marito, che parla con serenità della sua scelta e degli ottimi rapporti che ha con le coppie per cui ha portato avanti la gravidanza. Dice: «La surrogacy regolata, è un processo in più fasi in cui nessuno è costretto, perché negare a me la possibilità di farlo?». Un po’ più algido il servizio di Massimo Basile  su Repubblica in visita a New York  alla Surrogacy4all, multinazionale gestita da Deepak Gurati con sedi in California, Ghana, India: costo medio 130mila dollari tra donatrici di ovuli e madri surrogate, alla madre in media 60mila dollari. Gurati la butta sul desiderio di immortalità attraverso l’eredità genetica. Nel 2022 il business ha fatto girare 14 miliardi di dollari a livello mondiale.

Su Domani Maria Grazia Giammarinaro, giurista, sostiene  che l’intento del governo è in realtà colpire le famiglie arcobaleno e negare l’autodeterminazione delle donne in campo riproduttivo. Secondo lei la parte di femminismo e sinistra che si assesta su posizioni proibizioniste non ne valuta appieno le implicazioni.
La questione infatti divide la sinistra, con Elly Schlein favorevole alla Gpa ma una parte del partito che aderisce alla petizione della Rete NoGpa  su cui ha aperto il giornale Avvenire intervistando Silvia Costa, direzione del Pd, che sostiene che non ci si può «appiattire sui diritti adultocentrici e individualistici». Molto intervistato anche Aurelio Mancuso, ex presidente Arcigay e fondatore di Equality Italia che ha firmato l’appello e liquida la faccenda come la «più odiosa forma di mercimonio capitalistico». Adesso comunque bisognerà vedere come prosegue la questione in Parlamento.

Politica

E’ stata la settimana nera di Elly Schlein dopo la batosta del Pd delle amministrative e le divisioni interne sul voto europeo su armi e Pnrr. Si sprecano le critiche da destra, ovviamente, ma anche da sinistra con i consigli ad essere meno vaga e più presente, mentre lei ha tenuto un profilo basso, salvo uscire su Instagram con uno slogan «Mettetevi comodi, siamo qui per restare». Almeno fino alle europee, si legge un po’ dappertutto.  Maria Teresa Meli sul Corriere parla delle tensioni interne nel Pd, anche per l’intenzione di mettere come capilista solo donne, per esempio facendo fuori il candidato Paolo Gentiloni nel Lazio al posto del quale già si dà per scontata Marta Bonafoni, coordinatrice della segreteria e donna macchina fedelissima alla segretaria. La quale però smentisce in un’intervista su Domani. Come un fiume carsico riemerge Letizia Moratti che dopo il pessimo risultato alle regionali lombarde ora, racconta al Corriere, prova a rimettere insieme una “cosa” al centro in vista delle europee con Renzi, Calenda, Quagliarello, Fioroni, Mauro, tutta gente che ha litigato con tutti ma lei è fiduciosa nel progetto. Naturalmente i giornali sono zeppi di Giorgia Meloni che ha avuto il suo debutto al 2 giugno. Noi qui la citiamo però per l’appassionante telenovela del «il/la» sul Giornale, che anche questa settimana cambia il genere della premier più e più volte nello stesso giorno e anche nella stessa pagina. Interessante su Domani l’analisi del sociologo Marco Marzano che definisce quella della leader FDI una strategia basata sul vittimismo per ottenere i pieni poteri. Il Fatto invece ricostruisce il nuovo ruolo politico di Marta Fascina, la non moglie di Silvio Berlusconi, che sarebbe interessata soprattutto a farsi cedere dal Cavaliere il logo di Forza Italia. Ma lei con una lettera al Giornale smentisce con un classico vintage: sono sempre un passo dietro a Silvio.

Lavoro

La Meloni dà lavoro a 52 mila donne. Senza quote rosa” titola Libero del 2 giugno. Tutti hanno in effetti sottolineato i dati Istat secondo i quali l’occupazione femminile ad aprile è passata al 52,3 per cento, ma il divario con gli uomini resta di 17,5 punti.  Linda Laura Sabbadini, direttora dell’Istat ricorda in un’intervista al Sole 24 ore che siamo sempre gli ultimi in Europa: in Germania e Francia il tasso di occupazione femminile è al 70%, ma dappertutto, anche in Grecia, va meglio che da noi. Bankitalia spiega anche che per le donne con i figli i salari sono più bassi del 50% e il 90% del divario si spiega con meno servizi e meno ore lavorate.

Influencer vecchie e nuove

Solo il Manifesto ha dato ampio spazio alla morte  a 81 anni di Ama Ata Aidoo, femminista, accademica, per un breve periodo anche ministra ghanese, ma soprattutto scrittrice, che ha influenzato generazioni di intellettuali africane, tra cui  Chimamanda Ngozi Adichie. Ha istituito una fondazione per promuovere le scrittrici africane. Lei si è sempre opposta «alla percezione occidentale secondo cui la donna africana è una disgraziata oppressa».

Ama Ata Aidoo.

Saltando dalle grandi influencer a quelle su scala più ridotta, sul Corriere parla la ragazzina di 11 anni che ha sfidato Chiara Ferragni criticando una foto dell’imprenditrice su Instagram dove si mostrava in slip. La Ferragni le ha risposto male e forse non è una coincidenza se il profilo della bambina, gestito dalla madre, è stato chiuso da Instagram, perché sotto i 13 anni non si può. «La sua risposta mi ha delusa -dice la ragazzina- Qual è il messaggio per noi ragazzine? Che per farci notare dobbiamo metterci nude?».

Sport

Nel solito vuoto pneumatico della presenza femminile nelle pagine di sport, sempre col contagocce, segnaliamo oltre al ritorno di Paola Egonu al volley Milano (che Il Giornale titola “Egonu firma con Milano. L’Italia è razzista i soldi no” ricordando le dichiarazioni della campionessa a Sanremo) ben due interviste al…padre della saltatrice Larissa Iacopino per la terza tappa di Diamond leage di atletica leggera. Vero è che è l’allenatore, tuttavia.

Infine

Non possiamo fare a meno di segnalarvi la “disfida delle tette” registrata con interesse da tutti i giornali e qui forse il pezzo più divertente è quello di Valeria Braghieri sul Giornale. Trattasi di un contenzioso lungo 30 anni tra le  soubrette Sabrina Salerno e Angela Cavagna la quale accusa la prima di essersi rifatta il seno in gioventù ma Salerno ora ha fornito perizia definitiva del contrario su carta intestata di un chirurgo plastico.

Questa rassegna stampa è frutto del lavoro di squadra di  Caterina Caparello, Gegia Celotti, Barbara Consarino, Laura Fasano, Paola Rizzi, Luisella Seveso e Maria Luisa Villa

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