Rassegna sui generis: la settimana di notizie sulle donne (1 novembre-6 novembre) | Giulia
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Rassegna sui generis: la settimana di notizie sulle donne (1 novembre-6 novembre)

Una settimana di notizie sui nostri media: come e quanto si parla di donne? E quante sono le donne a scrivere del mondo. GiULiA prosegue con il suo osservatorio sui giornali in ottica di genere [di Barbara Consarino]

Rassegna sui generis: la settimana di notizie sulle donne (1 novembre-6 novembre)
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Barbara Consarino Modifica articolo

7 Novembre 2021 - 19.27


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Settimana dall’1 al 6 novembre 2021 

Il Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa, Il Giornale, Il Messaggero, L’Avvenire, Domani, il Fatto quotidiano, Il Sole 24 ore, Il Manifesto e uno sguardo al web.

Firme in prima pagina:  508 uomini, 174 donne
Editoriali, commenti e analisi: 101 uomini, 34 donne
Interviste: uomini 137, donne 50

In primo piano le politiche mondiali sul clima emerse dal G20 di Roma e dal Cop26 di Glasgow. Grandi protagonisti, sia pure fuori dalle stanze in cui si prendono le decisioni, i giovani e le ragazze che hanno presidiato pacificamente i luoghi delle due riunioni internazionali dei Grandi della Terra. Saranno loro a dover gestire, nei prossimi decenni, un probabile disastro ambientale, indipendentemente da chi ha fatto loro delle promesse che fra trent’anni non dovrà più mantenere.  Intanto avanza in tutto il mondo una nuova generazione di eco-femministe che mescola difesa dell’ambiente e parità. «Se le donne in politica sono ancora ai margini e spesso ancorate alle quote rosa – scrive Franca Giansoldati sul Messaggero del 6 novembre – in fatto di ambiente si stanno scoprendo numerose e capaci di cogliere al volo i segnali di un cambiamento profondo». Tra le leader di questa avanguardia una delle più rappresentative è la brasiliana Sonia Guajajara che a Glasgow ha fatto sentire la voce delle comunità dell’Amazzonia in pericolo. Non c’è più solo Greta Thunberg, che resta comunque un simbolo, ma pure le ragazze indiane e africane che sono state raccontate in questi giorni dai nostri quotidiani.

Il titolo migliore Come sempre Il Manifesto supera tutti con un geniale e cubitale BLA26 che, oltre ad avere il dono della sintesi, spazza via un po’ di retorica nazionale che ha riempito le pagine dei giornali quando si è trattato di scrivere sul G20 in casa nostra.

Ravioli di Stato  La foto di prima pagina di martedì 2 novembre sul Corriere della Sera mostra la first lady Usa Jill Biden intenta a confezionare ravioli in una scuola di Caserta. Naturalmente «in ricordo della nonna italiana che faceva gli spaghetti e li appendeva in cucina» questo il titolo del servizio. Si poteva fare qualcosa di meglio?

La nostra foto E’ quella scelta dal Sole 24 ore del 5 novembre, documenta lo storico scontro tra il ceo di Volkswagen Herbert Diess e Daniela Cavallo, 46 anni, origini calabresi, a capo del potente consiglio di fabbrica della casa automobilistica tedesca e prima donna a ricoprire questo incarico. Il ceo ha annunciato 30mila esuberi e lei lo ha mandato a quel paese, dicendogli di smettere di perdere tempo sui social e di chattare con Elon Musk e di preoccuparsi di trovare sul mercato i chip, come fanno i concorrenti. 

Gli altri temi: terza dose di vaccino, quarta ondata di Covid, con annessi problemi di ordine pubblico causati da no vax e no green pass, soprattutto a Trieste e Milano. E cominciano le grandi manovre sul Quirinale: si parla di una donna per il Colle, lo suggerisce pure Massimo D’Alema, intervistato dal Corriere del 6 novembre. Vedremo.

 

Le interviste Il tema del clima è stato il filo conduttore della settimana e a questo si deve anche l’aumento delle interviste a donne, dalla climatologa Claudia Tebaldi, alla premier scozzese Nicola Sturgeon. In mezzo ci sono le ragazze dei vari Fridays for Future come Disha Ravi, fondatrice del movimento ambientalista in India e altre donne, come la londinese Rosamund Adoo Kissi Debrah, rappresentante delle mamme di 44  Paesi, che ha consegnato al presidente Cop26, Alok Sharma, la petizione per bloccare definitivamente gli investimenti per l’esplorazione di nuove fonti fossili. La figlia di Rosamund, Ella, è morta a 9 anni nel 2013 per una grave forma di asma e la mamma ha combattuto una lunga battaglia legale, poi vinta, perché tra le cause della morte fosse incluso l’inquinamento. Una storia che leggiamo su Avvenire. Il quotidiano della Cei ha affidato buona parte dei servizi su Cop26 alle sue giornaliste.

Le buone notizie Sei a sei, parità di genere nella giunta Gualtieri a Roma e meno male, visto che nessuna donna sarà al timone nelle grandi città italiane, appena uscite dalle elezioni amministrative. A Boston, invece, non hanno avuto paura di eleggere sindaca Michelle Wu, prima donna americana di origini asiatiche (i suoi genitori sono di Taiwan) a conquistare la poltrona di prima cittadina in un luogo che ha eletto in passato solo sindaci maschi e bianchi. Una consolazione per i democratici che hanno appena incassato la perdita elettorale in Virginia: tutti sanno che i dem sono spaccati e in questi mesi non hanno fatto altro che litigare su tutto e si sa che gli elettori, anche quelli americani, non amano le risse. Però, i giornali italiani hanno sottolineato che la campagna elettorale era stata affidata alla vicepresidente Usa Kamala Harris: così ora si saprà a chi attribuire la sconfitta. Un po’ come succede da noi quando ci sono i rave party: la colpa è della ministra Lamorgese, ma come sottolinea finalmente Ivan Scalfarotto, di Iv, in una intervista a Grazia Longo sulla Stampa, la titolare del Viminale viene attaccata “perché donna”. Avevamo avuto questo sospetto…

Donne in guerra Uccise a colpi di pistola quattro giovani donne afghane attiviste per i diritti, nella città di Mazar-i-Sharif. Tra le vittime Frozan Safi, 29 anni, docente di Economia a Mazar e molto attiva nel garantire un’istruzione alle bambine anche nelle zone rurali. Alle quattro donne era stato promesso, con l’inganno, un biglietto aereo per lasciare l’Afghanistan, ma era una trappola mortale.

 In fin di vita Zhang Zhan la giovane avvocata e blogger cinese che documentò in modo critico il comportamento delle autorità durante le prime fasi dell’epidemia di Covid a Whuan. I suoi contenuti non sono passati inosservati, denunciata e processata è stata condannata a 4 anni di reclusione. Da 16 mesi sta facendo lo sciopero della fame e, denuncia il fratello Zhang Ju, è arrivata a pesare meno di 40 chilogrammi per un metro e 77 di altezza.

A Belluno, nel trentennale della morte di Tina Merlin, il ministro per i rapporti con il Parlamento Federico D’Incà ha raccolto la proposta di dedicare alla giornalista dell’Unità un monumento. Merlin, prima partigiana e poi cronista di valore, è stata la donna simbolo del Vajont, la prima a denunciare, anni prima del disastro, la fragilità di quel territorio e le paure dei suoi abitanti. Ovviamente inascoltata e anche processata. Lo leggiamo su Strisciarossa.

 Oggi, invece, basta occuparsi di immigrati o di criminalità organizzata per venire dileggiate ed offese sul web con termini sessisti e volgari. Ne scrive Mirella Serri sulla Stampa del 6 novembre in una pagina dedicata al fenomeno, analizzato da due giornaliste , Silvia Garambois e Paola Rizzi che nel loro libro “Stai zitta giornalista. Dall’hate speech allo zoombombing, quando le parole imbavagliano” hanno disegnato la mappa di questo fenomeno, aiutate anche da diverse testimonianze dirette.

Succede pure che una denuncia per odio razziale venga archiviata perché il tribunale non ha l’accesso a Facebook. Succede a Belluno dove Assia Belhadj, 26 anni, italo-algerina, aveva presentato denuncia in procura per gli insulti ricevuti dopo aver postato una foto col velo islamico. Ma l’esposto era caduto nel vuoto e ora sappiamo il perché… 

Centinaia di donne in marcia hanno manifestato per le strade di Città del Messico, mostrando croci con i nomi di donne assassinate. I numeri sono impressionanti. Almeno 975 le donne uccise nel 2020, 762 da gennaio a settembre di quest’anno. In Italia abbiamo superato i 100 femminicidi, secondo Osservatorio diritti che incrocia i dati del Viminale con le cronache dei giornali e c’è pure da dire che in questi giorni gli ultimi due episodi avvenuti sono stati trattati con poche decine di righe sulle pagine nazionali.

 Su Repubblica del 5 novembre, la storia di un’altra donna in guerra, Agnese Rapposelli, 42 anni, che dopo 10 di battaglie e ricorsi è riuscita ad entrare all’Università di Pescara come ricercatrice di Statistica economica, dopo aver contestato i concorsi nei quali arrivava sempre invariabilmente seconda.

Diritti e giustizia Giulia Merlo, su Domani del 5 novembre, scrive dell’udienza preliminare per Ciro Grillo e tre suoi amici, accusati di violenza di gruppo su una ragazza. Udienza iniziata e già rinviata, ma è come se il processo fosse già stato celebrato fuori dall’aula tanto si è scritto e pubblicato. Una riflessione interessante sulla giustizia-spettacolo.  Lo stesso sta avvenendo sul cold case di Nada Cella, uccisa 25 anni fa a Chiavari, nello studio del commercialista per cui lavorava. Qui l’elemento di interesse ulteriore è dato da una giovane genetista, Antonella Delfino Pesce, che ha dato impulso con le sue ricerche alla riapertura del caso insoluto. Ora c’è un’indagata, Anna Lucia Cecere che avrebbe ucciso Nada Cella per gelosia e per poterne prendere il posto nello studio. Naturalmente non c’è un provvedimento, una pronuncia di un giudice,  solo un avviso di garanzia, ma la donna nel frattempo è stata già bollata colpevole senza processo.

Revenge porn Una ulteriore tutela dei minorenni dalla diffusione delle immagini senza il loro consenso e dalla violenza attraverso la Rete, riguarda anche i minori di 14 anni e va a riempire i vuoti che la legge del 2019 ha lasciato aperti.

Alleyoop, l’altra metà del Sole 24 ore, porta alla luce, con un servizio di Livia Zancaner una dinamica sempre più frequente nei tribunali: la donna che si separa dall’ex compagno violento lo denuncia, ma i figli finiscono in affidamento congiunto, in casa famiglia o riportati al padre. Perché le madri sono ritenute malevole, ostacolanti o troppo deboli. La Commissione di inchiesta sul femminicidio ha presentato in Senato un disegno di legge sulla tutela dei minori nei casi di affidamento in presenza di violenza domestica. Un padre violento non può essere un buon padre.

Scontro sui diritti Se brucia ancora nel Pd la sconfitta sul Ddl Zan, mandato a morire in aula impallinato dal voto segreto, il problema si è riproposto in Senato, a distanza di una settimana nelle vesti del Dl trasporti al cui interno c’è una norma voluta dalle deputate Alessia Rotta (Pd) e Raffaella Paita (Iv) che prevede il divieto sulle strade e sui veicoli di «qualsiasi forma di pubblicità il cui contenuto proponga messaggi sessisti o violenti, o stereotipi di genere offensivi o messaggi lesivi del rispetto delle libertà individuali, dei diritti civili e politici». Vietati anche «messaggi discriminatori con riferimento all’orientamento sessuale e all’identità di genere». Fratelli d’Italia, parlando di ritorno del Ddl Zan, ha chiesto il voto segreto, ma il governo alla fine ha messo la fiducia e il decreto trasporti è passato. Questo il clima sui diritti, almeno in Parlamento, perché la società italiana è molto più avanti: secondo un sondaggio realizzato da Demos & Pi per la Repubblica, le possibili nuove norme per combattere l’omotransfobia piacciono al 60 per cento degli italiani, con punte del 70-85 per cento tra giovani e under 40.

Mostre Agli Uffizi si uniscono l’arte del Seicento e la cruda attualità per denunciare la violenza sulle donne. Accanto al busto di Costanza Piccolomini Bonarelli, scolpito nel marmo da Gian Lorenzo Bernini e poi fatto sfregiare da lui medesimo per astio e rabbia, compaiono le foto delle donne sfigurate dall’acido dei nostri giorni, scattate da Ilaria Sagaria. Le vittime si presentano con il volto bendato, simbolo di dolore e identità perduta. Vittime di ieri e di oggi: la mostra Lo sfregio Sagaria- Bernini”, resterà aperta fino al 19 dicembre. Ce ne parla Emanuela Minucci sulla Stampa del 3 novembre. 

Torino Artissima alla sua edizione numero 28, tornata dopo il Covid, presenta percorsi con invasione di corpi indefinibili gender fluid, senza bisogno di giustificazioni perché l’arte ha già superato anche il Ddl Zan. Ne scrive Giulia Zonca sulla Stampa del 5 novembre.

Algoritmi La ricercatrice Kate Crawford su Domani del 4 novembre, afferma che l’intelligenza artificiale amplifica i pregiudizi e favorisce le disuguaglianze. Esiste, ad esempio, un pregiudizio di genere negli algoritmi così come una inclinazione al razzismo nel software di valutazione del rischio criminoso. Per esempio, Amazon nel suo programma di selezione del personale avviato nel 2014 non segnalava le donne, affidandosi a termini prettamente maschili nei curricula. Amazon ha cercato nel tempo di correggere il tiro, ma occorre un approfondimento dei meccanismi di costruzione della conoscenza.

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