Rassegna sui generis: la settimana di notizie sulle donne (dal 6 all'11 ottobre 2025) | Giulia
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Rassegna sui generis: la settimana di notizie sulle donne (dal 6 all'11 ottobre 2025)

Una settimana di notizie sui nostri media: come e quanto si parla di donne? E quante sono le donne a scrivere del mondo. GiULiA prosegue con il suo osservatorio sui giornali in ottica di genere

Rassegna sui generis: la settimana di notizie sulle donne (dal 6 all'11 ottobre 2025)
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Luisella Seveso Modifica articolo

12 Ottobre 2025 - 14.50


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Il Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa, Il Giornale, Il Messaggero, L’Avvenire, Domani, il Fatto quotidiano, Libero, Il Manifesto, Il Sole 24 ore, Qn, La Verità, La Gazzetta dello Sport, Tuttosport, Il Corriere dello sport con uno sguardo al web

Dal 6 all’11 ottobre 2025  
Le firme in prima paginauomini  928  donne  329
Editoriali commenti e analisi: uomini 185  donne 38
Le interviste : a uomini 259 a donne 85

Voci di donne su Gaza e Israele

Abbiamo scelto di aprire la rassegna stampa di questa settimana, particolarmente critica per il conflitto in Medio Oriente, con un mosaico di testimonianze di donne, architette, ministre, scrittrici, giornaliste, operatrici umanitarie. Voci diverse, unite dallo stesso desiderio: la fine della violenza, la pace, il ritorno dei propri cari. E che nutrono lo stesso timore:  che la guerra ricominci, che la ragione e la compassione vengano travolte dall’odio. Questo materiale così ricco è stato raccontato da moltissime giornaliste, inviate e in redazione.

Sabato 11 ottobre: a Gaza l’esercito israeliano ha iniziato a ritirarsi e migliaia  di palestinesi si sono messi in marcia per ritornare là dove erano stati sfollati. La tregua è precaria, e come dice la ventisettenne Suleiman a Repubblica «è pericoloso anche muoversi perché ci sono esplosivi piazzati dall’Idf e da Hamas»; ma Fatima, 33 anni, che ha già visto la sua casa rasa al suolo, è positiva : «C’è qualcosa di bello, comunque. Il silenzio. Non sento più i droni».

A Tel Aviv intanto, l’attesa per il rilascio degli ostaggi è spasmodica. Su La Stampa Francesca Paci racconta che l’ospedale sostituisce il reparto pediatrico con l’unità “ritorno degli ostaggi”, una task force per accogliere i 20 sopravvissuti, e Repubblica intervista Einav, 46 anni, madre di Matan, 23, uno degli ostaggi attesi, in piazza, come sempre dal 7 ottobre 2023. Lei, grande elettrice del Likud, si è trasformata nella spina nel fianco di Netanyahu. Ha capeggiato una ribellione continua e tenace, e adesso libera tutta la sua rabbia felice: «Ce l’abbiamo fatta!!». 

Coi piedi per terra ci riporta, da La Stampa, Nathalie Tocci, direttrice dell’ Istituto Affari Internazionali, che spiega perché la vera pace è ancora lontana. Punti critici: non sarà liberato Marwan Barghouti, l’unico capace di raccogliere il consenso popolare e traghettare i palestinesi verso l’autodeterminazione. Inoltre Israele non ha accettato di implementare i 20 punti dell’accordo, ma solo i primi 4 e questo rende possibile la rioccupazione e la ricolonizzazione israeliana di Gaza.  Non c’è accordo nemmeno sul ritiro completo dalla Striscia.
Per tutta la settimana un crescendo di notizie e commenti, fino alla decisione, venerdì 10, del cessate il fuoco.

 La Stampa ha pubblicato una serie di interventi, reportage e riflessioni. Su Israele e la sua immagine compromessa si focalizza la scrittrice Elena Loewenthal che definisce “surreale” l’invocazione alla fine di Israele. Ricorda che molti israeliani sono ebrei arabi, figli di chi fu cacciato dai paesi islamici dopo il 1948, e chiede: «Se Israele sparisse, chi si prenderebbe cura dei suoi milioni di cittadini, ebrei e arabi?». La storica Anna Foa riflette  sull’isolamento crescente di Israele: «Oggi a essere condannata è un’intera nazione. Le opinioni pubbliche si sono schierate con gli innocenti: non con Hamas, ma con il popolo palestinese».   Sara Shavit racconta la ribellione del mondo culturale israeliano contro il governo Netanyahu.

Da Gaza la narrazione cambia, ma non del tutto: in un’intervista alla Stampa , la ministra degli Esteri dell’Autorità Nazionale Palestinese Varsen Aghabekian, giudica “imperfetto ma utile” il piano di Trump, riconoscendo che anche Hamas, se vuole un ruolo politico, deve accettare il mandato dell’Olp e la soluzione dei due Stati. Mentre Alessia Melcangi descrive la perdita di potere di Hamas: «I miliziani appaiono sempre più fragili dopo l’abbandono degli storici sostenitori come il Qatar. I gazawi, straziati, attribuiscono sempre più colpe agli islamisti. Hamas è un attore politicamente debole, diplomaticamente isolato e socialmente logorato».

A sottolineare l’urgenza di una soluzione per entrambi i popoli un ampio reportage di Francesca Mannocchi sulla Stampa dal villaggio di Umm al-Khair, nel sud di Hebron, dove duecento beduini vivono tra ruspe e violenze dei coloni, e proseguendo il suo racconto tra le macerie di Gaza intervista operatori sanitari e fornisce le cifre della strage: «La Striscia respira un sollievo fragile.  Oggi oltre il 78% degli edifici sono danneggiati o distrutti, Ogni giorno sono stati uccisi 28 bambini, il 58% dei farmaci essenziali è esaurito. 67 mila palestinesi uccisi, 42 mila persone hanno subito ferite invalidanti. I bimbi restano malnutriti».  Sullo sfondo le parole che affida a Repubblica Claire Magone di Medici senza Frontiere, appena tornata da Gaza:, dove la situazione è apocalittica, con 64mila bambini uccisi o mutilati, neonati senza incubatrici e carestia dilagante.

Repubblica 10 ottobre. Iniziata la tregua, si scatena la festa. Può essere una trappola, ma il sollievo è enorme. La reporter palestinese Ruwaida Amer, raccoglie la testimonianza di una donna che vive nel campo di Al Mawasi: descrive la felicità soprattutto dei bambini, che riempiono le strade. Manuela Dviri, giornalista italoisraeliana, sul Fatto annota: «Netanyahu cercherà di accreditarsi come l’autore del miracolo, e forse chiederà elezioni anticipate sperando persino di farcela .Tutto pur di non finire in prigione come merita».

Da Repubblica Concita de Gregorio commenta che le notizie della guerra sono bellissime e pessime. Pessime perché sarebbe la vittoria delle maniere forti, del ricatto e della minaccia. Più conciliante sul Corriere Lucia Annunziata, che dichiara: «Bisogna date atto a Trump di aver avviato un processo di pace. La sinistra italiana è stata cauta sul 7 ottobre, ma i morti per violenza sono tutti uguali. E le piazze per la Palestina sono state molto utili perché come  forte traino emotivo».

Violenza sulle donne e femminicidi

In occasione del primo anniversario della Fondazione Giulia Cecchettin, diversi quotidiani hanno raccontato il toccante intervento del padre, Gino, a Palazzo Marino, alla presenza del Sindaco  Beppe Sala e del Presidente del Tribunale Fabio Roia . Qn riporta che Cecchettin ha riflettuto su ciò che manca per contrastare la violenza di genere: una maggiore conoscenza scientifica e culturale del fenomeno. Nella stessa occasione Roia ha ricordato come l’80% delle misure cautelari nel 2024 riguardi reati di violenza di genere. Domani segnala anche la denuncia del magistrato sul malfunzionamento dei braccialetti elettronici: «Occorre intervenire sul gestore che ha vinto la gara d’appalto». E ribadisce la necessità di aumentare la professionalità nella valutazione del rischio e della pericolosità sociale degli autori di violenze.

Il Messaggero riporta l’annuncio che il 15 ottobre a Roma si terrà la manifestazione  in Piazza Santi Apostoli “Lacrime furenti” organizzata dai parenti delle vittime di femminicidio. Non chiedono solo pene più alte, ma una maggior celerità nei percorsi giudiziari e nuove regole sui risarcimenti.

Un falso femminicidio e uno vero. Il Qn del 7 ottobre ha aperto con il caso di Luisa Asteggiano, 45 anni, originaria di Bra, trovata morta in un appartamento di Formentera, nelle Baleari. Il compagno, Ivan Sauna, 51 anni è stato inizialmente arrestato con l’accusa di omicidio e poi rilasciato perché l’autopsia ha stabilito che si è trattato di morte per cause naturali. E un vero femminicidio quello avvenuto a Lettomanoppello (Pescara): Antonio Mancini, 69 anni, ha ucciso l’ex moglie Cleria, 56 anni, sparandole in strada davanti al nipote di 12 anni. L’uomo ha aperto il fuoco anche in un bar, prima di essere fermato.

Non sono mancati casi di violenza: sul Corriere, si legge di una 44enne valtellinese violentata e rapinata a Sondrio da un ospite di un centro di accoglienza, che l’avrebbe aggredita sotto l’effetto di alcol o droga, arrivando a strapparle un orecchio. Altra violenza a Pavia, dove un 29enne, accusato di violenza sessuale sulla vicina, ha aggredito anche la poliziotta che lo sottoponeva a un tampone.

E non potevamo farci mancare un capitolo su Garlasco: per tutta la settimana sui quotidiani si è parlato della presunta corruzione che vede indagato l’ex procuratore capo di Pavia  Venditti, accusato di aver archiviato la figura di Sempio in cambio di trentamila euro e di altre inchieste sospette avvenute nella stessa procura a carico di altri giudici. Sabato 11 invece tornano in campo i protagonisti del delitto di Chiara. Il Corriere dedica 2 pagine al fatto che la GdF chiede verifiche sui conti della famiglia Cappa (quella delle gemelle cugine di Chiara) e dell’ex Gip di Sempio.

Violenza sui minori: nel 2024 più bambine vittime

Il 2024 è stato un anno drammatico per i minori in Italia. Come riportano Corriere della Sera e Avvenire, sulla base dei dati della Direzione della Polizia Criminale diffusi per la campagna indifesa” di Terre des Hommes, sono stati registrati 7.204 reati contro bambini e adolescenti, con un aumento del 4% rispetto al 2023 e del 35% nell’ultimo decennio. In media, 19 casi al giorno, una vittima ogni 75 minuti.
I maltrattamenti in famiglia restano il reato più frequente, con circa 3.000 episodi all’anno. Le bambine sono le principali vittime: costituiscono il 63% del totale e, nei reati sessuali, le percentuali salgono fino all’88% per le violenze semplici e all’86% per quelle aggravate. Preoccupa anche la violenza digitale: la pornografia minorile cresce del 63%.  Secondo il rapporto gli incrementi reali sarebbero ancora più gravi, fino a +141% per la pornografia e +73% per la detenzione di materiale, con ragazzine vittime nell’89% dei reati sessuali.
Per Paolo Ferrara, direttore generale di Terre des Hommes, questi numeri mostrano “una epidemia” di violenza, legata al ritorno di modelli patriarcali e all’indebolimento del tessuto sociale.

Rientra in questo capitolo, purtroppo, il caso di Sara Genovese, 25 anni, ai domiciliari a Reggio Calabria, dopo il ritrovamento in un armadio della sua camera dei corpi dei suoi gemelli, partoriti e uccisi un anno fa. Gli inquirenti sospettano anche un terzo infanticidio. I giornali hanno accostato la vicenda a quella di Chiara Petrolini (di cui hanno pubblicato la foto, al posto di quella di Sara), la giovane di Parma che avrebbe seppellito i suoi figli nel giardino di casa. Entrambi i casi, scrive Repubblica, mostrano famiglie apparentemente “normali, religiose e integrate”, ma segnate da segreti agghiaccianti.

Tre donne nella tempesta mediatica

Francesca Albanese, relatrice speciale dell’ONU per la Palestina, è finita al centro di una tempesta mediatica. La avvia il Messaggero, con una lunga intervista alla storica Anna Foa, delusa: un tempo aveva difeso Albanese, ma oggi la trova “indifendibile”. Avvenire mantiene un tono più sobrio. Ripercorre i fatti, dal “Vabbè, sindaco” alle scuse successive e all’uscita dal talk show su La7 , e nota come anche tra i suoi sostenitori cresca l’imbarazzo. Riporta le sue parole su Liliana Segre («non è lucida sul genocidio di Gaza, ma la rispetto») e sottolinea la tensione nel PD, dove viene ormai considerata una figura imbarazzante. Va invece giù pesante il Giornale, in prima pagina: «Albanese fuori controllo: altre offese alla Segre». Il quotidiano accusa la relatrice Onu con un tono tra lo scandalizzato e l’indignato, di mancare di rispetto non solo a Liliana Segre ma all’intero Paese. E La Verità, con Maurizio Belpietro, la accusa di aver “insultato gli italiani”: un attacco diretto, morale e politico, nel registro tipico del quotidiano.  Più sfumata la posizione del Corriere, che il giorno 8  racconta l’intervento di Albanese a Genova, dove prova a stemperare le polemiche: «Ho rispetto per Segre», dice. Ma il giorno dopo arriva la replica del figlio della senatrice: «Agisce più da militante che da giurista». Il Corriere pubblica un ritratto di Fabrizio Roncone dai toni spietati e assolutamente poco rispettosi: descrive Albanese come “Nostra Signora proPal”, sottolinea come veste e si atteggia, teatrale e vanitosa, con “feroce passione e prosopopea”.
Si sarebbe usato lo stesso linguaggio con un uomo?

La Stampa offre due prospettive: nella cronaca racconta l’accoglienza calorosa ricevuta da Albanese all’ateneo occupato di Genova, mentre nel commento Flavia Perina avverte che il PD sta concedendo troppo spazio a una figura “divisiva”. Come nota Alessandra Arachi sul Corriere, diverse amministrazioni, da Firenze a Bologna e Padova, stanno sospendendo o rivedendo le onorificenze già concesse. Su La Stampa la storica statunitense famosa pe rla causa contro il negazionista David Irwing Deborah Lipstadt: «Albanese? Lecito disapprovare ma inquieta la naturalezza con cui la critica si fonde con l’odio». La ciliegina sulla torta la mette Libero, che in prima pagina pubblica la foto della relatrice Onu con il titolo «Alla Albanese è rimasta solo la parrucchiera: ha presentato il suo libro in salone di bellezza perché ormai non la vuole più nessuno».

Un’altra donna che ha diviso stampa e politica è María Corina Machado, insignita a sorpresa del Nobel per la Pace. Il Messaggero apre con la foto della leader venezuelana, ricordandone le simpatie per Thatcher, Milei e Bukele. Racconta la sua vita in clandestinità e sottolinea la dedica del Nobel a Donald Trump, con l’appello «Aiutaci». Il Qn ne celebra l’impegno per i diritti democratici, ma riporta anche la reazione ostile della Casa Bianca, che accusa il Comitato norvegese di «fare politica invece di pace». Su Repubblica, in un’intervista di Javier Lafuente, Machado parla di sorpresa e gratitudine, definendo il premio «un riconoscimento al popolo venezuelano». Il Corriere della Sera la chiama “la Libertadora” e racconta la sua lotta contro Maduro, la vittoria elettorale cancellata e i figli all’estero per sicurezza. Lei si commuove nel ricordare che non li vede da due anni e promette: «Sarò presidente», ringraziando Trump e anche Giorgia Meloni. Domani vede in Machado «l’Iron Lady del Venezuela» e interpreta il Nobel come un premio alla fragilità coraggiosa, opposta alla logica del potere. I quotidiani più schierati reagiscono in modo netto: Libero esulta: «Nobel in testa ai comunisti», La Verità lo legge come un colpo ai governi legati a Iran e Hezbollah.  Avvenire, con Lucia Capuzzi, mette però in guardia dai suoi legami con il Partito Repubblicano USA e ricorda le sue posizioni più radicali, come quando ha invocato la forza per deporre Maduro, mentre Il Manifesto la boccia apertamente: una «star dell’estrema destra venezuelana».

La nomina di Beatrice Venezi a direttrice musicale del Teatro La Fenice di Venezia ha scatenato forti polemiche nel mondo musicale e non solo. Una vicenda che sfiora il grottesco. Come racconta la Repubblica, dopo la presa di posizione dell’orchestra e delle maestranze, che giudicano il curriculum della direttrice (del direttore, come lei preferisce definirsi) non all’altezza, anche 140 abbonati hanno scritto una lettera minacciando di non rinnovare l’abbonamento. Mentre i ministri, Giuli e Santanché, difendono Venezi accusando “la sinistra” di doppi standard sulla meritocrazia, il quotidiano precisa che le critiche provengono dall’interno del teatro e non da ambienti politici. A difenderla interviene Libero, che denuncia gli “insulti da bar sport” ricevuti dalla direttrice sui social. Giovedì 9 i giornali annunciano uno sciopero per il 17 ottobre, giorno della prima del Wozzeck, organizzato dalla Rsu e dai sindacati della Fenice contro la nomina. Il sindaco Brugnaro e il sovrintendente Colabianchi propongono un “percorso conoscitivo” da compiere insieme, direttrice e musicisti.  Ma lo sciopero, bollato da quotidiani come “ad personam”, è proclamato.  Il Corriere  conferma la rottura: Colabianchi ammette che la nomina “senza consultazioni” è stata un errore, ma Brugnaro ribadisce il sostegno alla direttrice, definendo le accuse sessiste e Venezi “carismatica e rappresentante del futuro”. Gli orchestrali replicano che non si tratta di politica né di genere, ma di mancanza di qualifiche.  Su Repubblica del 10 ottobre la nuova svolta: sfiduciato dalle maestranze anche il sovrintendente Colabianchi. E mentre si accumulano le critiche alla direttrice (ultimo  il violinista Uto Ughi ) scende in campo il Comitato nazionale delle fondazioni lirico sinfoniche con un documento dal titolo eloquente: «Quando la politica dirige l’orchestra».  Alla fine il sindaco e il sovrintendente, disperati, ipotizzano l’affiancamento di un direttore artistico di mediazione. (!) E aggiungono che con Venezi sarà garantito l’effetto pop, assicurato da social e numero di follower.  Replica secca delle maestranze: non ci serve un’influencer.  Intanto il M5S ha chiesto una informativa urgente sulla nomina. Il ministro Giuli sarà chiamato a rispondere. Il caso fa notizia anche sul New York Times e sul Financial Times: «I musicisti sostengono che Venezi non abbia il profilo professionale richiesto per il ruolo. Ma la direttrice, il cui padre era un tempo membro di un partito di estrema destra, ha potenti sostenitori».

Politica

Negli ultimi giorni la cronaca politica si è concentrata su alcuni temi chiave che rivelano la visione del governo su libertà e diritti.
Il primo è la cosiddetta legge dei manifesti sessisti, rivelata da Domani: Fratelli d’Italia, con un emendamento al ddl Concorrenza firmato da Malan e Puglisi, propone di abolire il divieto di cartelloni con contenuti sessisti, omofobi o lesivi della dignità, introdotto dal governo Draghi. Una norma di civiltà, dicono Pd e Iv, che la maggioranza bolla come “censura”. Ma la discussione è stata rimandata per le polemiche

Contemporaneamente, FdI rilancia la battaglia sul velo con una proposta di Sara Kelany responsabile per l’immigrazione, che prevede multe fino a 3.000 euro per chi indossa in pubblico un velo che copra il viso, nonostante una legge simile già esista. Il testo include anche il divieto dei certificati di verginità e sanzioni per i matrimoni forzati. Per Repubblica regna “grande confusione”, mentre Massimo Adinolfi parla di un governo che «chiede per sé libertà che nega agli altri».

Sul piano politico e mediatico ha dominato Giorgia Meloni, che da Bruno Vespa denuncia: «Non conto più le minacce di morte… l’unico piano della sinistra è mandare a casa me». Un atteggiamento che, secondo Alessandro Robecchi, sul Fatto «raffina la pratica del vittimismo fino al grottesco», trasformando ogni critica in un complotto. Eppure, nota Lina Palmerini sul Sole 24 Ore, «le basta poco per guardare anche al Quirinale»: nonostante tutto, il consenso per lei resta solido. Dopo gli accordi di tregua tra Israele e Gaza Meloni si guadagna un riconoscimento ufficiale per il suo appoggio costante a Trump: sarà presente in Egitto alla firma del cessate il fuoco. 

Intanto, anche il salvataggio di Ilaria Salis da parte dell’Europarlamento ha riacceso lo scontro politico: per la sinistra è una vittoria dei diritti, per la destra “impunità rossa”.

Poche manager in Italia

Come riporta il Sole 24ore secondo l’Osservatorio Donne Executive di Sda Bocconi ed Eric Salmon, l’Italia è ultima in Europa per presenza femminile ai vertici aziendali: solo il 17% delle posizioni executive è occupato da donne (18% considerando anche le non quotate). La Francia è al 32%, il Belgio al 24%, la Germania al 23%. In Italia, inoltre, il 22% delle imprese non ha alcuna donna in ruoli apicali. Le dirigenti si concentrano nelle funzioni di staff (risorse umane, legale, sostenibilità), mentre restano marginali nelle aree tecniche e operative, dove i CEO donne sono appena il 7%. Le norme italiane favoriscono la parità solo nei board non esecutivi, a differenza della Francia, che impone quote di genere crescenti. Le donne hanno minore mobilità internazionale e meno percorsi STEM. La maggioranza appartiene alla Generazione X, segno di un ricambio lento. Gli esperti chiedono piani di successione e sponsorship per colmare il divario e passare dalla “parità di genere alla parità di potere”.

Sport

Protagoniste assolute del momento sono le tenniste Sara Errani e soprattutto Jasmine Paolini, celebrate per la loro seconda vittoria consecutiva a Pechino. Non tutti dedicano spazio a questa notizia: come Qn tanti altri quotidiani (anche sportivi tipo Tuttosport o Corriere dello sport) concedono loro solo una breve. Per una volta invece a fronte di intere edizioni senza una notizia di sport al femminile, la Gazzetta dello Sport esalta la “bella coppia” del tennis italiano con toni trionfali, sottolineando che mai nessuno aveva vinto due volte di fila nel torneo cinese. 

Qualche giorno dopo il quotidiano esalta la crescita di Jasmine Paolini, descritta come ispiratrice per le più giovani, anche se si conferma ai più alti livelli nel ranking mondiale grazie ai consigli  di Sinner (che al momento domina la scena su Il Giornale, Il Messaggero e Repubblica a causa del suo ritiro per crampi a Shanghai.) Bontà loro, i giornali le concedono di avere una granitica volontà. La rivincita l’ 11 ottobre: Jasmine batte Swiatek e vola in semifinale. Ora lei è per tutti la “magica Jasmine”.

Grande attenzione ha avuto l’avvio del campionato di Serie A1 e per la Nazionale femminile campione del mondo di Volley. La Gazzetta dello Sport dedica ampio spazio a Paola Egonu, “in versione mondiale”, che già trascina il Vero Volley Milano. Il Corriere dello Sport racconta il boom del movimento – pubblico, sponsor, visibilità – e la nascita della Spike Media, società creata dalla Lega per portare la Serie A femminile a livelli internazionali.

Il tema dell’inclusione e della “diversità vincente” diventa centrale dopo la visita delle Nazionali di volley (maschile e femminile) al Quirinale. Il QN, la Gazzetta, Tuttosport, il Corriere e La Stampa riprendono il messaggio del Presidente Mattarella e del CT Julio Velasco, che parlano di una squadra modello per l’Italia multiculturale. E Repubblica dà spazio anche alla pallavolista egiziana Mariam Metwally, prima atleta a giocare in Serie A indossando l’hijab,  Repubblica approfondisce  anche con interviste: a Stella Nervini, che racconta la gioia per la vittoria mondiale a 22 anni , e poi all’addio di Monica De Gennaro, definito “un addio da regina”.

Poche note per gli altri sport: la Juve Women secondo Tuttosport , Corriere dello SportGazzetta la squadra di Cecilia Salvai parte con il piede giusto in Champions League battendo il Benfica 2-1. Un articolo di Tuttosport per una grande campionessa di ciclismo di cui si parla pochissimo, Elisa Longo Borghini, che ha vinto alle Tre Valli Varesine

Nella cronaca sportiva rientra il caso di Chiara Tarantino e Benedetta Pilato, campionesse di nuoto  sospese per tre mesi dopo un furto di profumi a Singapore, con la conseguente esclusione dagli Europei in vasca corta di dicembre. Il Corriere dà voce a Nadia Battocletti, presentata come “regina del mezzofondo” e modello di equilibrio tra sport, cultura e spiritualità. Sempre su Repubblica, spazio a Zaynab Dosso, numero uno italiana nei 60 metri, che racconta la sua rinascita dopo il fallimento di Tokyo e il valore delle sue radici africane.

Ma quante regine abbiamo nello sport!

Il pasticcio dei santi

Sui quotidiani si è aperta la polemica sul “pasticcio dei santi” dopo che il Parlamento ha istituito il 4 ottobre, San Francesco, come festa nazionale, dimenticando Santa Caterina da Siena, co-patrona d’Italia dal 1939. Dimenticanza fatta garbatamente notare dal Quirinale. Il Giornale titola “Francesco e Caterina, guerra santa di Mattarella”. La Stampa parla di “pasticcio”, il Corriere titola “Si erano dimenticati di Santa Caterina”. Avvenire dà voce a Siena, dove la priora Franca Piccinni ricorda che proprio il 4 ottobre 1970 Paolo VI proclamò Caterina Dottore della Chiesa, simbolo di responsabilità e impegno sociale.( a quanto pare non apprezzato  particolarmente in Italia ) e perfino su Libero, Antonio Socci denuncia l’assurdità di escludere la santa «in tempi di femminismo e parità di genere», auspicando che Giorgia Meloni corregga la legge.


Questa rassegna è frutto del lavoro di squadra di Barbara Consarino, Gegia Celotti, Paola Rizzi, Luisella Seveso, Maria Luisa Villa, Laura Fasano, Caterina Caparello, Elisa Messina.

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