'Rosetta che non c''è...' | Giulia
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'Rosetta che non c''è...'

'E'' simbolo della lavoratrice invisibile, che lo stato non vede, non riconosce: eppure lavora duramente tutta una vita, con la cura della casa, dei figli... Di [Cristina Obber]'

'Rosetta che non c''è...'
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20 Agosto 2012 - 22.03


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Sono ad una festicciola in giardino dalla cara amica Lucia.

C’è una ragazza di 28 anni, Tamara, in sedia a rotelle per una distrofia muscolare congenita.

C’è anche la sua mamma, Rosetta, sorridente e solare come la figlia.

Chiacchierando finiamo sul discorso pensioni.

Rosetta mi dice che il marito, dopo 40 anni di lavoro, è andato in pensione nel 2008 – giusto in tempo per non finire nelle grinfie della riforma Fornero – e tra la pensione e lo stipendio della figlia, che ha un impiego in un ufficio, riescono a sostenersi decentemente.

Mi dice anche “Io non ho mai lavorato, non fuori casa”.

In effetti Rosetta è casalinga, non ha mai avuto un lavoro retribuito, ma mi racconta che oltre a prendersi cura di una figlia malata di distrofia -e una cosa è immaginarlo e altra cosa è farlo tutti i giorni di tutti gli anni di un’intera vita-, ha dovuto occuparsi anche di tre fratelli disabili poiché la madre, che soffriva di depressione, è mancata presto.

La disabilità dei fratelli è di tipo mentale, non grave, mi spiega, ma sufficiente per aver bisogno di una sorella che ti faccia la spesa e si prenda cura di te e della tua casa come se fossi eternamente piccolo.

Ma la lavoratrice Rosetta non esiste, per lo stato non ha mai lavorato, non lavora.

Per lo Stato Rosetta ogni mattina si sveglia, si pettina, e guarda fuori dalla sua finestra il mondo che si muove.

Rosetta è La lavoratrice invisibile, quasi sempre femmina, che lo stato non vede, non riconosce. Ma Rosetta non ha poteri magici per apparire con in mano uno scettro come le eroine dei cartoni animati. Lei è un’ eroina dei nostri tempi, è il simbolo di tanti eroine invisibili che lavorano duramente tutta una vita, prendendosi cura di una casa, dei figli, di un marito spesso incapace di contribuire a questo lavoro di cura sulle spalle delle donne.

Una cura prestata con amore certo, una cura che gratifica ma che affatica, che toglie spazio e tempo alla cura di sé, che vede le donne votate a farsi carico anche di fratelli e genitori e suoceri in difficoltà.

Ma lo stato tiene alto lo sguardo, cerca all’orizzonte il suo popolo astratto.
Basterebbe abbassarlo, questo sguardo altezzoso, sulla vita quotidiana delle persone, delle famiglie, di chi questo paese lo ha costruito e lo costruisce ogni giorno, invisibile e forte proprio come certi eroi.
Basterebbe fare due passi tra la gente per bene.

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