Ludovico Geymonat ci diceva sempre che, per essere credibile, la filosofia doveva essere rintracciata “nelle pieghe della scienza”. Sono cresciuto, come tutti i suoi allievi, con questo imprinting e più passa il tempo e più mi convinco di quanto corretto sia questo insegnamento.
I filosofi che pensano di poter fare a meno di un dialogo e di un confronto con la matematica, con la fisica, con la biologia, con le neuroscienze incorrono in clamorosi svarioni, come quello recente di un docente di bioetica e filosofia morale che, nel corso di una sua lezione, ha proiettato una slide con la seguente scritta che riporto testualmente: “Quindi le donne sono emotivamente più sensibili degli uomini e il loro processo decisionale è condizionato, anche se incoscientemente, dall’emotività”.
Ne consegue, in modo trasparente, l’idea che l’emotività sia incompatibile con l’assenza di condizionamenti e quindi con l’imparzialità, e che le donne debbano essere escluse da tutte quelle professioni, come quella di giudice, nelle quali a farla da padrona dovrebbe essere la sola cognizione.
Basterebbe prendere in mano un qualsiasi libro che dia conto dei risultati più recenti delle neuroscienze per rendersi conto di quanto infondata e superata sia la posizione che ritiene a priori emozioni e sentimenti attività meno rilevanti rispetto al pensiero concettuale, in quanto più indifferenziate, primitive, arcaiche, torbide e in grado solo di appannare la lucidità della ragione.
Oggi sappiamo al contrario che il sistema limbico, deputato all’affettività e che costituisce la base anatomo-fisiologica delle emozioni, è da considerare la struttura cardine dell’integrazione fra processi cognitivi, esperienza, emozione, stress, dolore, reazioni neurovegetative e somatiche.
Di fatto esso è quindi il trait d’union tra ragione e sentimento, tra mente e corpo, che costituiscono un’unità inscindibile, che non è più possibile separare cartesianamente in modo dualistico. Nella teoria delle emozioni si è cominciato da diversi anni a tenere conto del ruolo della coscienza e dell’introspezione, quindi, sul piano neuropsicologico, dell’incidenza dei sistemi implicati nella cognizione. Per saperlo, però, bisogna studiare, confrontarsi seriamente con le discipline scientifiche e non lasciarsi andare ad affermazioni che dimostrano soltanto la propria incapacità di esercitare un minimo di controllo cognitivo sulle proprie emozioni primitive e viscerali.
Non può quindi pretendere di ergersi a giudice chi vorrebbe impedire alle donne di farlo.