“Abbiamo lottato, abbiamo resistito alle paure e alle minacce, non ci arrenderemo adesso”. Le parole di Lina Ben Mhenni suscitano un applauso nella sala del Consiglio comunale di Marzabotto: lei è giovane, tunisina e di quel luogo che tanta parte ha nella memoria storica dell’Italia, sa quel poco che le hanno spiegato prima di arrivare. Ma chi è venuto ad ascoltarla, nel suo ragionamento si riconosce in pieno. La scena è avvenuta qualche giorno fa al congresso nazionale dell’Anpi, l’associazione nazionale partigiani italiani, che in occasione della sua festa nazionale ha voluto dedicare un appuntamento alle donne e al loro ruolo nelle primavere arabe. Della conferenza, Lina Ben Mhenni era l’ospite d’onore: a suo fianco Ouejdane Mejri, tunisina, professoressa di Informatica al Politecnico di Milano, da 13 anni in Italia, e Aya Homsi, giovane siriana-italiana che da mesi cerca di sensibilizzare la Rete italiana sul dramma di ciò che sta accadendo in Siria.
Ma è stata Lina Ben Mhenni a conquistare i cuori e l’attenzione della platea: la blogger, 29 anni, candidata al premio Nobel per la pace, è stata una delle protagoniste della rivolta dei gelsomini, esplosa in Tunisia nel gennaio 2011, la rivoluzione che ha dato inizio al movimento della primavera araba. “Tutti guardavano alla Tunisia e dicevano che era un paese in fondo accettabile: sicuro, tranquillo, stabile. Questo pensava di noi la gente in Europa. Ma noi sapevamo cosa questo significava: la mia famiglia ha pagato un prezzo altissimo alla dittatura di Ben Ali, mio padre è stato incarcerato e torturato. Io ero seguita ovunque: sull’autobus, alle riunioni, in strada. Nonostante questo ho scelto di non avere paura: sono stata in strada, ho manifestato in strada, ho documentato quello che accadeva, l’ho diffuso. Perché io e la mia gente avevamo diritto a una democrazia stabile, non a un paese “accettabile” secondo gli standard della comunità internazionale”.
È partendo da queste parole che Lina ha invitato a non dare per finita la rivoluzione, nel suo paese, come nel resto del mondo arabo: “A quelli che dicono che la rivoluzione è finita, che il trionfo dei partiti religiosi segna la fine dei sogni dei giovani e delle donne, io rispondo che siamo ancora all’inizio: la rivoluzione è un processo lungo, continuate a guardarci, non spegnete i riflettori”. Dalla sala di Marzabotto, l’applauso è scattato fragoroso e unanime.