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Parliamo finalmente bene di noi

La strada è lunga, ma alcuni passi sono già stati fatti soprattutto sulla strada del linguaggio corretto. Insieme marciano affiancati colleghe e colleghi di buona volontà [di Marina Cosi]

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16 Febbraio 2018 - 18.21


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Qualcosa è cambiato. In “casa nostra”, ossia sui media, finalmente.
Sull’assassinio di Jessica Valentina Faoro sono usciti due articoli sul Corriere della Sera di Andrea Galli, belli e giusti, ovvero originali e giornalisticamente interessanti, più lo stesso giorno un servizio sul TGR Lombardia di Maxia Zandonai altrettanto bello e originale. Una consolazione poter segnalare non più obbrobri come “baby squillo” e “boldrinate” e “prima la danno e poi frignano”, ma finalmente pezzi corretti a dimostrazione che si può fare cronaca completa e avvincente senza rimestare nei più volgari stereotipi con morbosi quanto inutili particolari e senza insultare la vittima.
Di più, i due pezzi vanno segnalati oltre che per la correttezza di cronaca e per l’approfondimento (fantastico e dolente testimone don Gino Rigoldi) anche perché sottolineano indirettamente, col solo mettere in fila i fatti, quanto leggi e servizi, giusti e protettivi sulla carta, divengano dei boomerang se gestiti con burocratica indifferenza.
Di tutte forse questa è l’annotazione più amara e che non risparmia nessuno: non solo noi giornalisti, quando nonostante le carte deontologiche e i manifesti scriviamo per luoghi comuni, ma pure giudici, assistenti sociali, case famiglia, carabinieri… Che han fatto il loro dovere; ma non è bastato.
Jessica sì sottratta a genitori incapaci ma non data in adozione e dunque tenuta in un limbo senza sponde, sballottata fra famiglie in affido e ricoveri di fortuna. Jessica che cerca aiuto dai servizi sociali ma si sente rispondere “torni domani”. Jessica che chiama i carabinieri per poter entrare nella casa e recuperare borsa e cagnolino, una casa in cui in cambio di lavoro domestico aveva ottenuto un giaciglio (sul divano che il padrone di casa liberava solo quando gli pareva e a tarda notte).
E a nessuno di loro che suoni in testa un campanello d’allarme.
Jessica che non si era mai né “fatta” né “data” e anzi disperatamente cercava stabilità affettiva nel poco più che coetaneo Alessandro, oltre che consolazione nel suo cagnolino (dov’è finito?). Alessandro che sta in galera, per furto pare, e che non ha potuto salutarla in obitorio perché “non è parente”, proprio mentre davanti alla salma in obitorio i “parenti” ossia i genitori tornavano a litigare pesantemente. Jessica a cui il Comune di Milano ha deciso, ma con molta calma, che pagherà i funerali.
Serve altro?
Intanto un altro segnale di buon giornalismo viene dalla pubblicazione – sempre sul Corriere ma ripresa da diverse testate – di estratti del verbale del lunghissimo interrogatorio alle due studentesse americane stuprate l’estate scorsa. Dove il giudice (un uomo) non ammette le domande più subdole e volgari degli avvocati difensori (una donna e un uomo) dei due carabinieri imputati. Un fatto di cronaca su cui si era esercitato al peggio di sé un giornalista toscano, Francesco Martini, su un periodico locale, fra l’altro dando delle escort alle ragazze…, e contro il quale, dopo la denuncia di GiULiA e di altri colleghi, l’Ordine della Toscana ha aperto un procedimento che dovrebbe andare presto a sentenza.
Insomma anche per il giornalismo la strada è lunga, ma alcuni passi sono già stati fatti e soprattutto sulla strada del linguaggio corretto marciano affiancati donne e uomini, colleghe e colleghi, di buona volontà.

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