'Se non le donne, chi? Noi precarie, ancelle dell''informazione' | Giulia
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'Se non le donne, chi? Noi precarie, ancelle dell''informazione'

'L''intervento a Piazza del Popolo di Simona Davoli (della rete Donne e informazione): noi vogliamo dignità. Subito! E una rappresentanza al 50% negli enti di categoria.'

'Se non le donne, chi? Noi precarie, ancelle dell''informazione'
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12 Dicembre 2011 - 10.13


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Oggi, in Italia, a produrre informazione tutta, (nuovi sistemi in testa come il web, l”on line, le emittenti locali, i blog) sono all”80 percento giornalisti precari (di questi oltre la meta’ sono donne. E io sono una di loro. Professionista da anni, al lavoro da molto di più! Eppure, a tutt”oggi, per me, come per tutto il popolo dei precari, un salario e una pensione decente è solo utopia.

I precari lavorano sodo, dentro e fuori le redazioni, ogni giorno, ogni notte, ogni festa. Per una miseria, dai tre ai cinque euro a pezzo. Ovviamente lordi!.

In questo sistema, che mortifica le intelligenze e le speranze di tanti giovani colti e preparati, le donne sono le più penalizzate, lavorano di più e vengono pagate di meno. Perfino la maternità è un lusso. I figli sono un lusso.

Con il dilagare dell’informazione-intrattenimento, le giornaliste senza garanzie sono tornate a rischio: troppe le discriminazioni di genere e le proposte indecenti, magari mascherate. Sempre piu’ le giovani professioniste sono considerate dai loro capi (in stragrande maggioranza uomini) come veline o ancelle dell’informazione, piuttosto che come colleghe a cui si deve rispetto e stima.

Noi vogliamo dignità. Subito! E una rappresentanza al 50 percento di donne in tutti i luoghi sindacali, istituzionali, e di categoria. E vogliamo che chi ci rappresenta non sia cooptata, ma sia scelta dalle donne. Garanzia basilare per portare nei luoghi dell’informazione la qualità: quel sapere della differenza che è la grande ricchezza femminile. Solo giornaliste autonome e consapevoli, in una parola “libere,” possono garantire che nei media passi, finalmente,la giusta rappresentazione delle donne.

L’importante è andare avanti insieme, tutte, oltre le nostre differenze. Come diceva la storica inglese, Sheila Robotham, “La singola donna emancipata è una divertente incongruità, una merce tintinnante di facile consumo. E solo quando cominciamo ad organizzarci in gran numero, diventiamo forza politica, iniziamo a muoverci verso una società veramente democratica”.

Le donne sanno raccontare, forse meglio dei altri, la realtà, perché hanno sempre guardato piu’ da vicino la sofferenza umana. Perché, come scriveva Ryszard Kapuściński “per essere un bravo giornalista si deve essere una persona buona, umana(…) perche’ – diceva- ” solo l’individuo buono cerca di comprendere gli altri, le loro intenzioni, la loro fede, i loro interessi e le loro tragedie”.

E di persone così, nelle redazioni, ce ne sono tante. Donne e uomini precari, soprattutto, che credono in questa professione e che hanno raccontato la tragedia di Barletta anche gratis perché la sentivano vicino.

Perché fare il giornalista non e’ bello per il prestigio che dà, ma per la funzione sociale che ricopre. Perché la buona informazione è un diritto dei cittadini e i giornalisti hanno il dovere di garantirla.

Per farlo, vogliamo essere riconosciute professionalmente e pagate dignitosamente. Vogliamo Il Pane, ma anche le Rose!

Per questo Donne e informazione chiede, da subito, l’applicazione della Carta di Firenze, un documento deontologico che tenta di tutelarci, introducendo raccomandazioni etiche per gli editori che ci affamano e sanzioni per quei caporali dell’informazione che glielo permettono. E ci piacerebbe che, in questo percorso, gli uomini fossero accanto a noi. Almeno quelli che vogliono contribuire a creare una società dove i due generi, il maschile e il femminile convivano in armonia.

In questo momento storico, adesso, il nostro ruolo e’ fondamentale. Perché’ le donne hanno quella forza che le spinge a riprendere il timone della propria esistenza dopo ogni bufera, afferrando il vento con le mani.

Perché se non lo facciamo noi, non lo farà nessuno.
Perche’, se non le donne chi?

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