Semplicemente libere. La sfida di Marisa | Giulia
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Semplicemente libere. La sfida di Marisa

Video-intervista alla partigiana Marisa Ombra, autrice del libro "Libere sempre": oggi come ieri la dignità è conquista di ogni giorno. Di [Rosa Leanza e Alessandra Mancuso]

Semplicemente libere. La sfida di Marisa
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12 Maggio 2012 - 01.10


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Video-intervista a Marisa Ombra, in occasione dell”iniziativa “Semplicemente libere: confronto fra generazioni dalla Resistenza ad oggi”(4 maggio 2012, Sala Fegosi -Provincia di Roma).

Il cammino delle donne è come una marea che a avanza e si ritira. Ed è a questo che fa pensare il bel libro di Marisa Ombra, “Libere Sempre” per Einaudi. Questo, anche, il filo conduttore della riflessione promossa dall’Anpi per la presentazione del libro, alla sala consiliare della Provincia di Roma, dal titolo “Semplicemente Libere”, un confronto tra generazioni.

Punto di partenza per le donne, in Italia, la Resistenza, che finalmente viene raccontata anche con occhi di donna. Ci si è messo del tempo per farlo, e resta un interrogativo aperto come mai, per decenni, la guerra partigiana sia stata principalmente, se non esclusivamente, raccontata dagli uomini.
“Raccontare le propria gesta è nella natura maschile”, suggerisce Carlo Smuraglia, presidente nazionale dell’Anpi, “e la Resistenza armata è stata piu’ facile da raccontare. Nella natura femminile c’era maggiore ritrosia”.

“Tutte noi, per moltissimi anni, siamo rimaste silenti. Io stessa ne ho parlato solo quaranta anni dopo”, conferma Marisa Ombra. E se lo spiega in modo semplice: “ Per noi partigiane, il passo fatto era naturale, necessario”. Era la cosa giusta da fare, insomma, “uno scatto umano e morale che ci ha portato lì”.

I ragazzi, che da bambini avevano giocato alla guerra, che avevano fatto la leva e partecipato al battesimo del fuoco nell’esercito di Mussolini, dopo l’8 settembre fanno la loro scelta. Le ragazze, esenti dal doversi presentare all’arruolamento forzato dei nazifascisti, avevano giocato con le bambole e si preparavano a un destino di mogli e madri. E invece no: sono 35 mila le partigiane riconosciute che lasciano le bambole e vanno in montagna. Di queste, 2500 vennero fucilate o uccise in combattimento. Mai, prima, era avvenuto. Un fatto nuovo nella storia. Ragazzi e ragazze insieme: i rapporti tra i sessi si dovettero reinventare. E alla fine della guerra, riflette Marisa Ombra, tornati alla normalità, l’amicizia diventò un rapporto possibile tra i sessi. E anche l’amore non fu pi quello di prima.

Nella storia ufficiale, osserva Smuraglia, le donne che partecipano alla Resistenza, vengono rappresentate come complementari, relegate in secondo piano. La Resistenza è armata e a usare le armi erano gli uomini. E invece, le partigiane svolsero un ruolo complesso. Si tende a riassumerlo nell’immagine della “staffetta”, immagine che rimanda alle “ragazze del ciclostile” nel ’68.
Fu invece un mestiere pericoloso. Confezionavano bombe, le piazzavano sui binari, facevano turni di guardia la notte, sotto la neve, dormivano in stalle e fienili, andavano in esplorazione per riferire il movimento del nemico ai comandi, trasportavano armi ed esplosivo….dovevano inventarsi, da sole, soluzioni creative per portare a buon fine gli ordini ricevuti. Anche se poi, una ragazza spericolata e coraggiosa come Tina Lorenzoni, 25 anni, che in Oltrarno si consegnò di fatto ai fascisti per consentire al gruppo che guidava di mettersi in salvo, sarebbe stata onorata con la Medaglia d’Oro come “Angelo consolatore dei feriti”.

Marisa Ombra si ritrovo’ nella guerra partigiana perché il padre, che aveva coinvolto la famiglia al lavoro clandestino preparatorio degli scioperi del ’43, entrò nella Resistenza. E con lui la famiglia: la madre quarantenne, sua sorella minore e lei, che aveva 19 anni. Sarebbe guarita, dopo quell’esperienza, dall’anoressia che viveva dalla morte della nonna, avvenuta quando lei aveva 14 anni. E c’è un bellissimo episodio in cui padre e figlia si ritrovano per caso, roccambolescamente, in un paese tra Langhe e Monferrato da cui fuggivano tutti per l’imminente arrivo dei nazisti: per Marisa, la salvezza.

Quel passo, da una vita di ragazze il cui unico destino era la famiglia, alla Resistenza, racconta Marisa Ombra, fu una “rottura fragorosa”: “pensammo e facemmo cose che mai erano state fatte e pensate. Ma il fragore fu sentito soprattutto dentro di noi. Quei 20 mesi hanno prodotto una crepa profonda, che anno dopo anno ha prodotto un terremoto che ha cambiato la cultura della maggior parte delle donne”. E dopo, non era pensabile che quelle donne tornassero a essere quelle che erano prima: non avrebbero più accettato di essere considerate inferiori e sottomesse, erano diventate libere.

Ma il Paese era pronto per ricevere queste donne? Forse il Paese non era pronto ma la classe politica era un passo avanti e le donne conquistarono il diritto di voto. Poi fu un cammino lungo e tortuoso, di avanzamenti e ripiegamenti: Marisa Ombra lo ha fatto tutto, questo percorso, sempre dalla parte della libertà delle donne, e lo racconta come un affresco. Passando dal femminismo, vissuto come capacità di lettura di se stesse, liberazione sessuale e diritti civili: “non sarei mai arrivata a parlare di Resistenza se non avessi fatto autocoscienza”, dice, “solo lì sono riuscita a capire cosa era successo nel mio essere di donna”. Fino allo smarrimento, metà degli anni Ottanta, per l’esibizione di corpi di donna, pezzi di carne, nella nascente tv commerciale.

L’inganno nella frase “il corpo è mio e lo gestisco io” che si ribalta in una “forma di schiavitu’ volontaria”. La perdita di dignità delle donne, un crescendo fino ai giorni nostri. La molla che induce Marisa Ombra, a 87 anni, a scrivere una lunga lettera a una ragazza di 14 anni incontrata in un parco.
Un libro che si legge tutto d’un fiato.

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