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Perché è donna. Perché non si fa intervistare e non ci sono molte immagini sue in giro. Perché lavora a testa bassa senza dar retta a nessuno. Soprattutto, di nuovo e comunque, perché è donna. E brava. E scomoda. Che razza di insulto sarebbe stato, si fosse trattato di un magistrato-uomo, definirlo “scapolo”?
Invece… “La zitella rossa che licenzia 11mila operai”: un titolo che fa balzare dalla sedia. O dalla sdraio. Così “Libero” di Maurizio Belpietro, nella foga della campagna pro-Ilva, non ha mancato l”affondo contro la magistrata tutta-d”un-pezzo. E non avendo altre frecce all”arco, poiché molto si parla della sua riservatezza, ha scagliato l”insulto peggiore che un uomo crede di fare a una donna: zitella. E ancora bene che non ha detto: zitellaccia. Ma siamo lì…
E”, come spesso accade, soprattutto una questione di titoli: l”articolo, infatti, racconta solo che è rigorosa, ha i capelli corti e rossi e porta gli occhiali, e che “la sua carriera è cominciata al Tribunale per i minorenni, poi si è occupata di violenze sessuali, criminalità organizzata e corruzione”.
Non entriamo qui nel caso-Taranto (anche se salute e lavoro, in una moderna democrazia, non possono essere antitetiche: è una storia che ci fa precipitare indietro di secoli, drammi da archeologia industriale): registriamo però che Anna Patrizia Todisco, oltre a trovarsi al centro di uno scontro istituzionale, si trova ora a dover fronteggiare anche chi usa i giornali come clave, infarcendoli di stereotipi. A quando “Donne e buoi…”, “Chi dice donna…”, “Donne e motori…”?
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