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“Manovra salva Italia”, una manovra economica pensata e messa in atto da tecnici, pertanto neutra. Al più con velleità di rigore, equità e trasparenza, ma sempre neutra. Una manovra annunciata come a favore delle donne, perché una situazione socioeconomica femminile come quella italiana pone una questione imprescindibile. Imprescindibile da tutto, a parte i conti, il bilancio, la situazione economica europea, lo spread, l”inflazione…
Così viene sottoposto all”attenzione dell”opinione pubblica il provvedimento economico che dovrebbe traghettare fuori dalla crisi il nostro Paese, in rispetto dei dettami europei. Quali? Quelli imposti dalla BCE, of course. Non certo quelli richiesti dal parlamento europeo e sottoscritti da 189 Paesi durante la conferenza mondiale delle Nazioni Unite di Pechino.
Anche in Europa si sono accorti che il bilancio non è uno strumento neutro: riflette la distribuzione di potere esistente nella società e nel 1999 il gender budgeting è stato adottato dalla Commissione Europea come strumento principe dell’orientamento di genere delle politiche pubbliche. E un più preciso invito ai paesi membri a sviluppare modelli di bilancio di genere è venuto nel 2003 dalla risoluzione 1.3.30 del Parlamento Europeo, per una piena realizzazione delle pari opportunità.
Era il 2003. Da allora in Europa Belgio, Austria, Repubblica Ceca, Danimarca, Svezia, Irlanda, Inghilterra, Spagna hanno introdotto una prospettiva di genere nei loro bilanci. E l”Italia, sempre attenta ai dettami europei? No, l”Italia no. Un timido tentativo si è compiuto nel 2006, con una proposta di legge mai arrivata al vaglio delle Camere, ma si sa, c”è sempre una emergenza più impellente.
Così, anche questa volta, un governo tecnico ha declinato al neutro, o meglio al maschile, come si addice all”homo economicus, il bilancio dello stato. Ma obliare la differenza dell”impatto delle politiche pubbliche sulle donne e sugli uomini non comporta una reale cancellazione delle disuguaglianze socioeconomiche e non garantisce un uguale accesso ai diversi ambiti economici, politici e sociali. Una semplice analisi dell’impatto della manovra economica sulle cittadine e i cittadini e un prospettiva di genere nel processo di costruzione dei bilanci pubblici basterebbero a promuovere quell”equità tanto sbandierata, non solo tra le classi ma anche tra i sessi.
Come non vedere che un taglio alla spesa sanitaria ha una ricaduta maggiore sulle donne, storicamente riportate ai lavori di cura e di sostituzione alle carenze del welfare? Come non capire che un mancato aumento delle risorse a favore dell’infanzia ha un effetto immediato sulle donne, con una grave compromissione sulla capacità lavorativa di queste ultime? Quale sviluppo è ipotizzabile per un Paese che non è in grado di promuovere le potenzialità di tutte le componenti della società, donne e uomini?
Non ci si può aspettare che le risposte arrivino da un governo che nasce e si pone come “tecnico”. Quelle risposte, forse, possono essere trovate nella politica, una politica di partecipazione, una politica capace di sostenere una rivoluzione culturale che smantelli, finalmente, gli aspetti patriarcali ben celati sotto un velo di falsa neutralità. Ma le rivoluzioni richiedono tempo. Intanto non resta che aspettare che l”Italia si adegui alle norme europee, non solo quelle contabili, e che ci si ricordi più spesso di rispettare la Costituzione.
art. 51 … “la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità fra donne e uomini”.
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