La gabbia dorata del part time | Giulia
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La gabbia dorata del part time

Donne oberate dagli impegni e costrette a capitolare. Ma siamo chiari: con il part time - scelto oppure no - la donna deve sapere che sarà considerata la metà. Di[Laura Ripani]

La gabbia dorata del part time
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2 Maggio 2012 - 18.12


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La rabbia e l”orgoglio delle donne immolate dietro una pila di compiti a casa; il dovere dell”equa retribuzione che abdica alla cura gli anziani; il diritto ad essere aiutate, a domicilio come fuori, dall”uomo con il quale si condivide la vita e, ancora, l”assenza di strutture sociali che sollevino dagli impegni di cura. Per non parlare , poi, dello sfruttamento, mascherato dalla mezza occupazione. Sono tanti i motivi che spingono le donne, oberate dai troppi impegni, alla fine, a capitolare. E rinchiudersi nella gabbia dorata del part time. Una volta c”erano le dimissioni in bianco, sempre utili in caso di maternità. Oggi si cerca di non lasciare il lavoro ma neppure di consideralo più l”unico strumento capace di garantire l”indipendenza. Siamo chiari: con il part time la donna deve sapere che, volontariamente se lo chiede, sarà considerata la metà (nei casi più gravi, sfruttata).

C”era una volta la discriminazione, oggi il sistema è più subdolo e, lungi all”essere un”opportunità, questa condizione diventa il metodo principe per tirare sul salario, allontanarla dai luoghi di maggiore responsabilità anche in presenza di un”elevata professionalità.

Il mezzo servizio, dice la propaganda, è un diritto di civiltà comune a tutta Europa. E molte ne sono affascinate quando, arrivando a sera, si sentono distrutte.

Magari in limitati e privilegiati ambiti lo sarà pure. Nei Paesi nordici dove gli uomini stirano e gli asili sono costruiti nelle fabbriche. Ma in Italia queste condizioni non esistono. Al contrario, con la scusa di andare incontro a mamme e mogli, le si relega così, di nuovo, a ruoli legalmente subalterni, allargando la forbice della retribuzione a parità di competenze, eliminando dall”orizzonte la possibilità di sfondare il tetto di cristallo e arrivare ai vertici.

Il fatto poi che sia massimamente utilizzato solo e per le donne, già dovrebbe mettere in allarme: i maschietti lo rifuggono come la peste, dunque è un buon motivo per guardarsene.

Invece di pretendere scuole aperte tutto il giorno, educare il genere maschile a collaborare con prole ed anziani, l”educazione tutta italica fa scoppiare i sensi di colpa – o il fisico – alle madri lavoratrici. La soluzione socialmente più accettata, allora è garantirsi un marito/compagno ricco – seguendo il consiglio dell”ex premier – così che il capofamiglia sia benestante e la mogliettina devota si accontenti di lavorare un po” meno, pur di potersi dedicare ai suoi doveri preminenti.

La dignità di pensare che il proprio contributo al ménage sia esattamente equivalente a quello di chi porta i pantaloni, evidentemente è ancora una conquista da realizzare. Nella mente e nel cuore delle donne, sia chiaro, non nella legislazione che, per una volta, sta avanti. Rinchiudersi – peggio se volontariamente – tra le quattro mura, almeno per una parte di giornata, promuove la donna che si prende cura dei più deboli e indifesi: fa acquistare punti nella classifica del sacrificio. Neppure sfiora le masochiste l”idea che con uno stipendio a tempo pieno ci si possano permettere colf, baby sitter e badanti, se del caso. L”immaginario collettivo è legato a una donna che si ritira, magari a metà, s”intende, per veder crescere i propri pargoli. Un atto d”eroismo. E chissenefrega se ci si condanna, il compito assegnato è la riproduzione.

Ora ci si mette pure il governo con il lodevole intento di favorire l”ingresso delle escluse nel mondo del lavoro. Rigorosamente ai piani più bassi. Perchè con tutta la buona volontà, anche dei capi illuminati, chi sta a mezzo servizio non può che valere la metà – cioè quanto si fa pagare – anche a superiorità di istruzione ed esperienza oltre che di competenze. Cosa, quest”ultima, affatto rara visto che le ragazze di oggi si laureano prima e con punteggi più alti dei propri colleghi accettando stage e tirocini gratuiti per non perdere tempo. Caso strano, peró, quando entrano nel mondo del lavoro, le fanciulle non sono in grado di trattare stipendi e condizioni migliori.

Se di legge del mercato si deve palare, allora, chi più vale più s”impegna e fa pure gli straordinari in un”azienda che funziona. La legge, se è, sia uguale per tutti. Solo che, nel caso delle donne, un”occasione deve essere concessa.

Invece da un po” di tempo, invece di trasudare passione, tra le occupate l”obiettivo è ritagliarsi il tempo per fare tutto il resto. Beninteso perché nessuno le aiuta. Con buona pace delle pari opportunità che finiscono appaltate alle più sveglie in grado d”imitare la carriera dell”ex ministro Carfagna. Per tutte le altre resta la malintesa parità che, quando non maschera lo sfruttamento, tenta di ottenere il privilegio di ridurre il tempo d”impiego, accampando ragionevoli obiezioni.

Insomma, se si pretende dignità, forse qualcuno l”ha dimenticato, si deve essere pronte al medesimo impegno. Diritti senza doveri non stanno in piedi. Alle paladine del part time va forse ricordato che poco più di 40 anni fa le donne non potevano diventare poliziotte o giudici o ministri. E che il diritto di voto è una conquista del Dopoguerra. Un”emancipazione costruita con il sangue delle donne. E alla quale se c”è chi intende rinunciare, lasci tutto lo spazio alle altre.

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