'L''aborto riguarda la sessualità, non la morale' | Giulia
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'L''aborto riguarda la sessualità, non la morale'

L’aborto non è sempre necessariamente un trauma, ma rimanda comunque alla storia che ha visto il potere di un sesso sull’altro passare attraverso il corpo. Di [Lea Melandri]

'L''aborto riguarda la sessualità, non la morale'
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26 Marzo 2013 - 22.25


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Il 9 marzo 2013 si è svolto a Milano un convegno – “Legge 194. Cosa vogliono le donne”- promosso dalle associazioni Usciamo dal silenzio, Libera Università delle Donne, Consultori privati laici.

Ne è uscito un Manifesto (in allegato), che contiene alcune proposte concrete riguardanti “i confini del diritto all’obiezione di coscienza”, una applicazione della legge che non la snaturi, la centralità dei consultori, la formazione dei futuri medici e degli infermieri. Non è la prima volta che il movimento delle donne è costretto a ricorrere a misure difensive, giuridiche, sindacali, politiche, su una questione che meriterebbe di essere affrontata in altro modo o, quanto meno, che non si dimenticasse la radicalità con cui fu posta dai gruppi femministi degli anni ’70.

“Violenza d’aborto o violenza sessuale? Secondo me, la questione fondamentale sul problema dell’aborto è questa: non è nel nostro interesse trattare del problema dell’aborto per se stesso. Il nostro sforzo è invece, mi sembra, di legare questo problema a tutta la nostra condizione, ed a una questione in particolare, che è quella della nostra sessualità e del nostro corpo, cioè ricostruire tutto quello che è legato sostanzialmente all’aborto, perché se noi tagliamo fuori solo questa cosa rischiamo di dare solo una risposta parziale che si rivolta magari contro di noi o comunque non è una soluzione per noi, è un’altra ripiegatura che ci fanno fare per sanare quelle contraddizioni più evidenti.” (“Sottosopra”, fascicolo speciale Sessualità contraccezione maternità aborto, Milano 1975)

Un’attenzione analoga al rapporto uomo donna, che sta a monte di tante gravidanze indesiderate la ritroviamo in un articolo che Rossana Rossanda scrisse per il “Manifesto” , esattamente vent’anni dopo, il 7 maggio 1995, alla vigilia di un’altra imponente manifestazione che si tenne a Roma il 3 giugno in difesa della legge 194.

“E’ come se qualcosa spingesse uomini o chiese o stati a inchiodare il corpo femminile sul margine fra vita e morte nel quale per secoli lo hanno cacciato e il parto e l’aborto. Là dovrebbe restare o essere riportata la maledetta sessualità femminile? (…) Ma se scelta è, è scelta in prima istanza e in ultima della donna. Qualsiasi uomo che abbia saputo dalla donna -lui non può saperlo- di averne fecondato un ovulo, sa quel che accadrà a se stesso e a lei: a lui nulla, a lei, una rivoluzione. La maternità è un evento globale e lungo che investe una esistenza femminile, scompone ogni altro programma di realizzazione, ed esige mediazioni perché uno dei due non ne esca mutilato.”

Partiamo allora dal concetto di “coscienza”, a cui si appella oggi la maggior parte dei medici e altro personale ospedaliero per giustificare il rifiuto a praticare aborti. Credo non sia inutile dire che la coscienza, sia essa morale, religiosa o politica, si è venuta modificando nel corso della storia. Ci sono vicende umane che sono state considerate per secoli “naturali” e che, una volta “svelate”, portate allo scoperto come costruzioni storiche e culturali, sono state guardate con altri occhi, giudicate e affrontate in modo diverso. Prendiamo per esempio la guerra e l’obiezione al servizio militare. I conflitti bellici sono stati da sempre sulla scena pubblica, cosicché si potuto vedere la ferocia, la distruttività di cui sono portatori, e prenderne la distanza, legittimare la disobbedienza a un obbligo disumanizzante. Non si può dire lo stesso per quella “guerra” particolare che nella relazione tra i sessi si è perversamente confusa con l’amore, con le vicende più intime, come la sessualità e la maternità.

L’interruzione volontaria di gravidanza, come sappiamo, è ancora vista come “questione morale”, con particolare riferimento alla religione, come “questione femminile”- come se non c’entrasse l’uomo, la sessualità maschile che si è imposta per secoli come controllo sul corpo della donna, affermazione di virilità, fissazione della donna nel ruolo di madre-, come “questione privata”, come se non sapessimo che è ancora oggi la maternità a limitare, se non a escludere, la piena presenza e realizzazione delle donne nella sfera pubblica.
E’ da quasi cinquant’anni che il femminismo ha portato alla coscienza la politicità della vita personale, delle esperienze che hanno il corpo come parte in causa, e da cui ha origine l’espropriazione più profonda delle donne come individui, persone. Ma la resistenza a far uscire il dominio di un sesso sull’altro dal privato è ancora forte, per cui mi sembra importante che tra le proposte ci sia anche l’avvio di un processo formativo, una “presa di coscienza”, che coinvolga medici e infermieri, affinché le scelte siano più libere da pregiudizi secolari.

Oggi si comincia a parlare di formazione di tutte le figure sociali –avvocati, medici, forze dell’ordine, ecc.- che hanno a che fare con le donne vittima della violenza maschile. L’aborto non è sempre necessariamente un trauma, ma rimanda comunque alla storia che ha visto il potere di un sesso sull’altro passare attraverso il corpo, una sessualità maschile generativa, imposta spesso in modo violento e irresponsabile, anche senza bisogno di arrivare allo stupro. Quante donne sono morte e ancora muoiono per parto o aborto?

Se è importante battersi perché le donne possano abortire in condizioni di rispetto per la loro scelta e di sicurezza per la loro salute, è altrettanto necessario continuare a porsi gli interrogativi di fondo riguardanti la conoscenza femminile del proprio corpo, dei propri desideri, anche quando sono diversi da quelli della persona amata. Per quanto dettate dalla radicalità con cui si è posto il femminismo ai suoi inizi, dovrebbero fare ancora riflettere le parole di Carla Lonzi su “sessualità femminile e aborto”:

“L’uomo sa che il suo orgasmo nella vagina la donna lo accoglie più o meno coinvolta emotivamente e fisiologicamente, sa che quello è il suo orgasmo e non quello della donna, sa che di conseguenza di questo la donna può restare incinta contro la sua volontà e dunque essere costretta ad abortire. Ugualmente l’uomo fa l’amore come un rito della virilità e alla donna accade di restare fecondata nel momento stesso in cui le viene sottratto il suo specifico godimento sessuale.”
(Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel. La donna clitoridea e la donna vaginale, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1974)

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