Enza Cappuccio, la dodicesima vittima | Giulia
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Enza Cappuccio, la dodicesima vittima

'Comunicato delle donne dell''UDI di Napoli per Enza, sei figli, 33 anni e cieca: strangolata dal marito. E la famiglia ha cercato di proteggere l''assassino. '

Enza Cappuccio, la dodicesima vittima
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19 Gennaio 2012 - 18.04


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A proposito dell’ultimo femminicidio, ultimo di una lunga serie, 12 vittime in 15 giorni per il 2012, l’Udi di Napoli scrive:

Enza Cappuccio, 33 anni. Uccisa a Marano di Napoli il 16 gennaio 2012:
strangolata dal marito, cui è stato fornito un tentativo di alibi dalla piena collaborazione della famiglia.

Enza è giunta cadavere al Cardarelli di Napoli, con la messa in scena di un tentativo di soccorso.

Enza era cieca, aveva sei figli, soprattutto aveva solo 33 anni, tutti di maltrattamenti e sofferenze.

Nessuno si è accorto prima, nessuno poteva denunciare grazie ad un legge che demanda alla querela il perseguimento di un reato contro la persona.

Forse Enza avrebbe voluto, ma era materialmente cieca: la sua morte è il solito epilogo (l’ottavo in famiglia, e il decimo femminicidio tra i casi “riportati” dalla stampa nella prima metà del gennaio 2012), in un paese che ancora considera un’ opinione il male fatto alle donne. Enza era cieca davvero, ma molte donne continuano ad essere accecate dalla promessa di altre percosse, ammutolite dall’irrisione e dal ricatto dell’indigenza. Sono accecate non da se stesse ma dalla mancanza di sostegno, tacciono sperando di cavarsela di nuovo, e considerare il male meglio del peggio che si prospetta, in un paese che le vuole comunque a casa. Le botte e gli stupri sono il preludio alla morte, ma in qualche modo appaiono come un’alternativa.. Anche chi sta per essere rapinato tace sperando di scamparla. Ma in quel caso chi altro vede e non interviene, anche per la legge e non solo umanamente, commette un reato.

Nessuno nega più, a parole, la diretta responsabilità della politica nel reiterarsi del crimine che in assoluto uccide ed invalida le donne più di ogni malattia. Ormai nessuno più sostiene, a parole, il carattere privato dei delitti come quello dell’uccisione di Enza.

Nei fatti, invece, il femminicidio è ancora trattato come un delitto di scarsa pericolosità sociale, come un elemento fisiologico inevitabile nei rapporti umani, come un incidente o una colpa della vittima. È vero finchè le cose stanno così, con nessun contrasto efficace, con la delega completa alla discrezionalità dei capi famiglia, con nessuna attenzione all’occupazione femminile, con lo sbandieramento di immagini femminili inventate e denigratorie, il femminicidio sarà normale ed inevitabile per lo Stato. Per noi, invece, ogni vita di donna persa è un universo stappato al futuro e all’armonia della convivenza possibile.

Dire basta è ormai retorica, non lo facciamo più noi femministe, smetta di dirlo qualche parlamentare o ministro e faccia piuttosto quel qualcosa che indichiamo da anni.

Il potere politico, anche al minimo storico del suo prestigio, è quello chiamato a fare gesti concreti: dai comuni fino al Governo centrale. Noi non aspettiamo, le nostre reti fanno già più del possibile, ma pretendiamo la nostra parte di cittadinanza, libere dai ricatti e dalle leggi mal fatte tese a zittire noi tutte e a farci sentire la sopravvivenza come un dono.

Le donne dell’UDI di Napoli

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