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L'antisessismo a macchia di leopardo

Dal putiferio su Boldrini al caos su Barilla, ciò che vale per i gay non vale per le donne. Eppure sessismo e omofobia sono frutto della stessa mentalità. [di Licia Palmentieri]

L'antisessismo a macchia di leopardo
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3 Ottobre 2013 - 15.19


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‘E” assodato ed accettato che la causa del fenomeno del femminicidio è la gerarchia tra i sessi, la disparità di potere tra uomini e donne, la funzione di subordinazione della donna, e che questo scalino vada eliminato. La presidente Laura Boldrini non ha sostenuto nulla di nuovo*. Eppure, la banale citazione esemplificativa di uno scontato stereotipo sessista ha scatenato un putiferio demenziale.

Naturalmente, a far scattare il meccanismo funzionale al polverone è stata la consueta estrapolazione e distorsione di una frase decontestualizzata ed accompagnata dalle abili presentazioni strumentali dei soliti tribuni del popolo, Andrea Scanzi in testa, in ottima compagnia non solo di altri bloggers ed attivisti progressisti ma anche di Libero (questi ultimi con un capovolgimento clamoroso della logica e delle posizioni, danno a Boldrini della “talebana”), del Giornale e dell’immancabile CasaPound. Siccome in Italia vige la norma dell’informarsi attraverso i commenti altrui o al massimo dai titoli e mai dalle fonti, si è scatenato il consueto allarmismo di massa.

Non mi è ben chiaro come sia possibile attribuire a Laura Boldrini poteri dittatoriali di cui non dispone, eppure ogni volta che la Presidente apre bocca, si evocano censure e deportazioni. È accaduto quando ha denunciato il fenomeno del cyberstalking, materializzando lo spettro della censura contro l’abitudine recente ma già considerata irrinunciabile del pestaggio mediatico come mezzo espressivo.

La descrizione della famigliola seduta a tavola in attesa di essere servita dalla madre, ha richiamato immediatamente alla mente uno spot Barilla attuale che io neanche sapevo esistesse. Per me e per chi mastica di questioni di genere, non era che la menzione persino scontata della solita scena presente in decine di pubblicità già viste. Ma la pasta è la pasta. La cena è la cena. La mamma è la mamma e l’italiano medio è ancora l’italiano medio. Chi di stereotipo colpisce, di stereotipo perisce e lo spettro di Tony Soprano è pericolosamente vicino.

Il dito puntato contro la schematica rappresentazione della donna contemporanea è stato rivenduto dai boldrinofobi come una specie di messa al bando della casalinga, sollevando la protesta persino di sedicenti casalinghe che si sono prese il disturbo di scrivere lettere vibranti di sdegno per qualcosa che Boldrini non ha mai detto né inteso.

Così è nato questo stranissimo fronte compatto quanto trasversale che ha unito progressisti moderati e non, persino anarchici e atei, sulle stesse posizioni dei conservatori, della Chiesa Cattolica, dei neofascisti e degli ultras che salutano la mamma davanti alle telecamere. Si sono lette polemiche stucchevoli e piagnucolose che rievocavano l’imbarco con la valigia di cartone e lo zappatore di meroliana memoria: “Ci volete togliere la mamma che ci serve a tavola. Ci volete togliere un gesto d’amore, l’accudimento, la cura, la famiglia tradizionale. Questo è un delitto! Pretendete che a servire siano i bambini?”.

In effetti, tanto per dire, nella vera famiglia tradizionale le bambine non proprio piccolissime si occupavano delle faccende e dei fratellini minori ed i bambini finivano a lavorare ad età che per noi oggi sono criminali. La famiglia moderna con due bei pargoli ariani, il cane e l’auto familiare non è affatto una famiglia tradizionale né mediterranea ma uno stereotipo artificiale in tutto e per tutto, e non c’è proprio niente di naturale e biologico nell’essere madri “in servizio” fino al giorno della morte e nel servire figli che in altre epoche a 40 anni erano già oltre l’aspettativa media di vita.

Gli insulti sessisti (nel miglior rispetto della tradizione italica “tutte puttane, tranne mia madre e mia sorella”)contro Boldrini si sono sprecati ed è stato tutto un tirare in causa un movimento che non ha mai vietato alle donne di fare alcunché (e sarebbe il colmo) e né le ha mai volute liberare con la forza. Punte di inarrivabile ingenuità nella descrizione di tanti amorevoli quadretti domestici con nonne che attendono nonni che tornano dai campi: “Che, mia nonna era per caso sessista?” scritto come se “sessista” fosse una parolaccia e le nonne delle inconsapevoli ed avanguardiste epigoni di Mary Wallstonecraft.

Sì, le nonne, poverine, erano sessiste ed erano anche più giustificate delle sessiste contemporanee perché non avevano gli stessi mezzi culturali.
Nelle orgogliose rivendicazioni delle esperienze di nonne e mamme, chissà perché mai un tradimento, non uno schiaffo ma solo quadri di grandi amori eterni. In fondo è tradizione anche la sopportazione femminile e la memoria settoriale, per esempio, di come le nostre nonne siano state in larga parte forzate a sposare il primo uomo conosciuto ed a tenerselo, volente o nolente.

Il giorno dopo Guido Barilla è invitato a partecipare a La zanzara e rilascia una dichiarazione che non solo rivendica orgogliosamente il ruolo della donna “angelo del focolare” ma fa del suo prodotto una questione ideologica, una specie di bandiera della famiglia patriarcale opposta alle famiglie omosessuali, aggiungendo anche che gli omosessuali non devono rompere le scatole al prossimo e pretendere l’adozione di bambini e che alla sua ditta non interessa piacere a tutti. Si è scatenato il finimondo. La protesta è diventata addirittura internazionale. L’hashtag #boicottabarilla diventa trending topic in mezza giornata. La mia bacheca di Facebook è un coro unanime di condanna contro l’industriale. Gli stessi personaggi che il giorno prima fucilavano Boldrini e tutte le attentatrici della famiglia tradizionale, da questo momento sono uniti nella difesa della famiglia omosessuale.
A nessuno viene in mente neppure per sbaglio dell’incoerenza tra le due posizioni.

Il giorno prima “antisessismo” era una parola scritta con disprezzo e sarcasmo. Il giorno dopo la regola è l’anti omofobia.

Ma il sessismo cos’è?

Il sessismo è la discriminazione di un sesso o di un orientamento sessuale rispetto ad un altro e l’attribuzione di qualità, difetti innati e connaturati ad un orientamento sessuale rispetto all’altro. Pensare che il ruolo di cura spetti alla donna per natura e per tradizione e pensare che una coppia omosessuale non sia adatta all’allevamento di figli sono pregiudizi strettamente consequenziali. Entrambe le convinzioni sono figlie della stessa mentalità, cioè quella patriarcale e maschilista, la mentalità che vede la supremazia del genere maschile con orientamento etero su tutti gli altri generi ed orientamenti e la divisione schematica e fissa dei ruoli, con la donna come moglie e madre servente o come prostituta e l’uomo in fabbrica, in ufficio, in laboratorio, in guerra, in politica, eccetera. L’antisessismo è la causa di chi combatte discriminazioni di genere contro ogni genere. Antisessismo e lotta all’omofobia sono la stessa cosa. Il femminismo è contenuto nell’antisessismo e coincide con esso tanto quanto la lotta all’omofobia. Dell’antisessismo fanno parte anche la lotta alla lesbofobia, alla transfobia e per i diritti di intersessuali, bisessuali e di chi si sta ancora interrogando sulla propria identità di genere. Insomma, antisessismo e anti omofobia fanno parte del pacchetto di gender theories che chi è del campo vede spesso messo alla berlina.

Eurispes informa che gli italiani non sono più omofobi. Ben l’82% non ha pregiudizi di sorta, o così crede. Benissimo, è uno splendido risultato, anche se la sua obiettività è discutibilissima. Ma per “omofobia” cosa intende chi non è impegnato attivamente? La paura verso gli uomini omosessuali? Comprende i pregiudizi verso le donne omosessuali? Esclude, per esempio, la transfobia?
E come si può non sapere che il femminismo già in partenza non è il movimento delle donne eterosessuali ma di tutte le discriminate di sesso femminile, anche lesbiche e bisex (e poi è diventato il movimento di tutti i discriminati dal patriarcato, uomini eterosessuali compresi) e che non si può parlare di antisessismo in una nazione in cui le transessuali sono raccontate sui media come “il transessuale che si faceva chiamare Brenda”, se non addirittura “l’uomo” ed i transessuali, cioè le donne che hanno effettuato la transizione al genere maschile, sono totalmente assenti, come inesistenti?

Questa è una nazione in cui le trans sono usate per ridicolizzare e screditare personaggi politici. Dove vengono derise, anche se sono segretamente molto frequentate come diversivi per uomini etero, proprio quelli con la famigliola fintamente tradizionale e la moglie che cucina e aspetta di mettere il piatto a tavola. Questa è anche la nazione dove la maggioranza dei padri non chiede il congedo parentale, il 75% dei padri separati non paga il mantenimento dei figli, 9 milioni è la stima dei fruitori della prostituzione femminile e la maggioranza dei fruitori di prostituzione maschile sono eterosessuali sentimentalmente impegnati. Insomma, la tradizione è “vizi privati e pubbliche virtù” ma non si capisce perché a farne le spese debbano essere le donne, con numeri sulla violenza spaventosi eppure testardamente negati e sminuiti dai fans del patriarcato.

E allora che razza di antisessismo è questo? Viene imparato per capitoli? Si applica a scacchiera? Va bene in difesa dei gay ma va un po’ meno bene in difesa delle lesbiche? Non si applica alle trans, invece le altre realtà sono totalmente ignorate e quando si arriva ai diritti delle donne l’antisessismo diventa immediatamente noioso, ridicolo o addirittura nocivo, anacronistico ed eretico? Uno strano antisessismo che incontra punti ciechi quando le donne chiedono una rappresentazione più contemporanea della loro condizione. Un antisessismo “a macchia di leopardo”, un antisessismo maculato al quale la figura femminile può sfuggire. Del resto questa è la nazione in cui la ghettizzazione delle prostitute è vista come progresso e Lina Merlin è ridisegnata come una perfida attentatrice ad una “necessità” maschile ( e anche nel caso di Lina Merlin, la senatrice non fece che obbedire ad una convenzione ONU che obbligava alla chiusura delle case di tolleranza. Eppure è passata alla vulgata populista come strenua femminista, nonostante la sua ferrea contrarietà al divorzio). E quindi? C’è una classifica dei generi più meritevoli di difesa? A questo punto mi sembra naturale chiedersi se esista una classifica per l’antirazzismo e se, per esempio, difendere un nero è più facile se gioca a basket ed è americano, meno facile se musulmano e se difendere un rom è eretico.

Invece, le reazioni internazionali dell’opinione pubblica sul caso Barilla mostrano lo stesso sdegno sia verso il sessismo che colpisce la figura della donna (proprio come Laura Boldrini aveva previsto) che verso le dichiarazioni omofobe dell’imprenditore. Non sarà il caso di rifletterci un po’ sopra prima di fare la figura di quelli che seguono ciecamente la marea?

*Intervenendo a Roma al convegno Convenzione di Istanbul e media lo scorso 24 settembre, nel quale, durante il suo intervento, ha affermato:”…gli stereotipi. Naturalmente non solo e non principalmente l”informazione li rilancia: penso alla pubblicità, a certi spot italiani in cui papà e bambini stanno seduti a tavola, mentre la mamma in piedi serve tutti; oppure al corpo femminile usato per promuovere viaggi, yoghurt, computer. Spot così, vi assicuro, in altri Paesi europei ben difficilmente arriverebbero sullo schermo…”)’

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