Se ne è andata a 96 anni, Lidia Menapace. Portata via dal coronavirus, mentre era ricoverata all’ospedale di Bolzano. Un pensiero non può che affacciarsi appena saputa la notizia. È morta da sola, lei che ha amato la dimensione collettiva e che era sempre circondata da amiche e amici, da compagne e compagni. Pur amando la sua indipendenza e pur mantenendo una grande riservatezza sulla sua vita privata.
Io ho avuto la fortuna di conoscerla. Di intervistarla, di vederla attiva, instancabile nella vita politica a culturale di Bolzano. La mia città di adozione. La sua città di adozione.
Prima di incontrarla nel capoluogo altoatesino, di lei avevo i ricordi della mia vita di giovane attivista femminista, quando la ascoltavo alle assemblee, ai dibattiti. Sempre rigorosa, mai ideologica. Con quel suo italiano bello e intenso, preciso e evocativo allo stesso tempo. Colto e semplice. Come può essere la lingua soltanto di chi ha una illuminata chiarezza di idee.
Rivederla qui a Bolzano, dopo tanti anni, mi aveva riempita di gioia. Uno di quei regali che la vita ci dona, se soltanto si riesce a vederli. Abitava in un bell’appartamento, pieno di libri e di storia, adiacente alla nostra redazione della Tgr Rai di Bolzano. Alla finestra l’immancabile bandiera della pace.
Era nata a Novara il 3 aprile 1924. Impegnata nella resistenza contro il nazifascismo come staffetta partigiana – nome di battaglia Bruna -, consegnava in bicicletta messaggi e medicine ai compagni di brigata piemontesi della Val d’Ossola.
Fermamente antifascista, pur non nutrendo sentimenti di vendetta, era contraria, e lo ribadiva in ogni occasione, ad ogni idea di condivisione della memoria di quel tragico periodo della nostra storia. Lei sceglieva sempre da che parte stare.
A Bolzano arriva nel 1952 insieme al marito, il medico trentino Eugenio Menapace. In ricordo di quel rapporto, anche dopo la morte di lui, Lidia, nata Brisca, aveva voluto conservarne il cognome.
Negli anni Sessanta è la prima donna eletta in consiglio provinciale nella sinistra DC, insieme alla consigliera della Südtiroler Volkspartei Waltraud Gebert Deeg. In quella stessa legislatura è anche la prima donna ad entrare nella giunta provinciale.
Nel 1968 la svolta comunista e l’impegno nella redazione de Il Manifesto.
Nel 2006 viene eletta senatrice con Rifondazione comunista e alle ultime elezioni politiche del 2018, a 94 anni, accetta di candidarsi come capolista di Potere al popolo.
Ma lei è anche, più spesso, fuori dei partiti, impegnata nei movimenti, in ogni luogo intuisse forme sensate di resistenza, la cifra della sua vita.
Il suo ultimo intervento in piazza risale a un anno fa, quando il 13 dicembre a Bolzano salì sul palco delle Sardine. “Quando le piazze si riempiono è sempre un buon segno”, aveva detto ricevendo un lungo applauso dai manifestanti.
Ho due immagini, che cercherò di conservare nella memoria, in ricordo di lei e della eredità che ci consegna, quella di pacifista, femminista, instancabile visionaria di nuove prospettive.
Lidia che nel 2014 tiene in una scuola a Bolzano una lectio magistralis per i suoi 90 anni. Non aveva voluto una festa. Aveva voluto parlare, ancora una volta. La ricordo sul palco, la voce ferma, la mente lucida, che ci sfida in uno dei suoi logici, coerenti viaggi nei quali era capace di condurre chi ascoltava. Noi alla fine, sera tardi, stremate. Lei instancabile.
Lidia incontrata tante volte nella stazione di Bolzano. Da sola, minuta, con il suo trolley, fino a pochissimo tempo fa. Lei che credeva nell’incontro personale, nel contatto, nel potere degli sguardi – il suo di sguardo sempre ritto e intelligente, penetrante – si recava ovunque venisse invitata, anche per partecipare a piccole iniziative.
Difficile immaginare che non salirà più sul treno, da questa città di confine, da lei molto amata, per i suoi lunghi viaggi in giro per l’Italia.