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Giornalismo e contronarrazione per fermare l'odio online

GiULiA ha collaborato con la Mappa dell'Intolleranza di Vox Osservatorio diritti per un approfondimento sui profili di giornalisti e di testate. Il report e l'analisi [di Silvia Garambois e Paola Rizzi]

Giornalismo e contronarrazione per fermare l'odio online
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25 Gennaio 2023 - 16.35


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La presentazione della sesta edizione della Mappa dell’Intolleranza e del focus curato da Giulia Giornaliste sulle donne e misoginia social l’anno scorso aveva coinciso con un caso che aveva destato scalpore, la molestia in diretta tv di una giornalista, Greta Beccaglia, palpeggiata da un tifoso mentre un collega in studio la invitava a non prendersela troppo. Un anno dopo e alla vigilia della presentazione della settima edizione della Mappa, quella vicenda si è simbolicamente chiusa in primo grado con una condanna del tifoso ad un anno e mezzo, un cospicuo risarcimento e la soddisfazione di Beccaglia per avere difeso la propria dignità nelle sedi opportune. Una ratifica anche giudiziaria che il sessismo nei confronti di una donna che sta svolgendo il suo lavoro è inaccettabile. Unita però all’amarezza espressa dalla giornalista per essere stata, in tutto questo anno, continuamente bersaglio di hate speech online e di minacce, riassumibili nell’accusa, secondo lo stereotipo più vecchio del mondo, di essersela andata a cercare e di aver rovinato al vita ad un povero cristo. Sempre viva e vegeta quindi la prassi per cui la donna nello spazio pubblico rischia sempre lo stigma, anche se sta facendo semplicemente il suo lavoro e pure se è vittima.

La rete e i social network si dimostrano ancora e sempre una potente arma di diffusione dell’odio, di polarizzazione e radicalizzazione del confronto, veicolo di contenuti misogini e sessisti e non risparmiano chi fa informazione, anzi. Non sorprende quindi che nel focus che anche quest’anno abbiamo curato con Vox- Osservatorio sui diritti, centrato sul monitoraggio di 45 profili di giornalisti (22 uomini e 23 donne) e sull’analisi degli account Twitter di 12 testate, catalizzatore di menzioni con il “sentiment negativo” ci sia una giornalista, Selvaggia Lucarelli, che distacca in numeri assoluti tutti gli altri. Se poi si dividono le classifiche tra uomini e donne, complessivamente i profili degli uomini raccolgono il 77% di menzioni negative ma le donne un po’ di più, l’82%. Vale la pena citare, per farsi un quadro generale anche nel mondo analogico, il report 2022 del Viminale sulle minacce ai giornalisti, che ha visto quest’anno un calo sensibile di episodi, più che dimezzati, ma la percentuale di donne bersaglio è invece aumentata passando dal 19 al 28% dei casi.

Il dato allarmante, come del resto emerge complessivamente dal monitoraggio della Mappa in tutti i cluster, è l’aumento esponenziale della quantità di odio circolante sulla Rete: giornalisti e giornaliste insieme raccolgono il 78,42 % di menzioni negative. Una crescita impressionante rispetto al 57% del precedente monitoraggio confrontabile, quello del 2020. E dire che allora eravamo nell’anno horribilis della pandemia. Ora pandemia, guerra, crisi energetica sembrano aver creato un mix micidiale nel “sentiment” che percorre la rete e anche i profili di chi fa informazione professionale, dimostrata ancora di più nel dato delle testate, dove la percentuale di citazioni negative si attesta all’87%. Insomma nello spazio pubblico di Twitter, prima ancora che arrivasse Elon Musk a mandare all’aria protocolli e codici di condotta e a bannare giornalisti, l’informazione, probabilmente in parte anche responsabile di una comunicazione radicalizzata, funge sempre di più da catalizzatore dell’odio digitale. Questo non colpisce solo anchormen o anchorwomen, o star delle reti sociali, a volte considerati provocatori, ma anche chi semplicemente fa il proprio lavoro sul campo, come la giornalista di RaiNews Angela Caponnetto, in testa alle classifiche per percentuali di menzioni negative tra le donne (91%), da sempre sotto attacco per il suo lavoro di informazione sugli sbarchi dei migranti.

In conclusione, se è difficile il confronto diretto tra i dati raccolti quest’anno dai ricercatori dell’Università Aldo Moro di Bari con quelli precedenti, visto che nell’affinamento dello studio cambia anche l’elaborazione dei numeri, una cosa è certa: non va meglio. E questo apre una serie di interrogativi.

Il linguaggio non solo racconta la società, ma ne è espressione. Cosa ci accade se intorno a noi i rapporti si incattiviscono al punto che lo scambio verbale si fa sempre più violento? Per affrontare l’odio della rete, inteso come vero fenomeno culturale pur se tutto in negativo, la prima risposta è quella della conoscenza: “rendersi conto” (per esempio del danno reale che si compie, pur su un terreno che appare del tutto virtuale) è in molti casi uno strumento per fermare parolacce e insulti.

Di questo tema ormai si occupano le Università, ci sono corsi, ci sono incontri, ci sono articoli di giornale. C’è stato un appuntamento importante come la Commissione Segre al Senato, che ha affrontato il tema a vasto raggio, accogliendo anche le riflessioni di GiULiA in merito ai danni provocati a chi fa informazione, e soprattutto alle giornaliste.

Ma basta davvero evocare censure? Noi continuiamo a privilegiare il confronto culturale, attuando ove possibile quella che si chiama ormai tra chi si occupa di questi temi “contronarrazione”: rispondendo civilmente ai messaggi degli odiatori. A volte serve. A volte no, e non resta che cancellare i messaggi incivili, per non creare emuli, e denunciare. Resta invece pericoloso affidarsi ad algoritmi che agiscano in solitaria: in un mondo che ha insegnato a scrivere persino articoli di giornale alle macchine – come leggiamo in queste settimane – il discernimento e il limite tra mestatori della rete e rischi di censura si fa davvero troppo flebile. L’intelligenza artificiale non è così intelligente, se ancora oscura dalla rete il dipinto “L’Origine del mondo” di Gustave Courbet scambiandolo per insana volgarità. Altrettanto la parolaccia in sé non sempre e non per forza è sinonimo di odio. Il compito del giornalismo quindi non è per nulla superato dall’algoritmo delle piattaforme, ma al contrario diventa sempre più indispensabile per contrastare fake news, stereotipi e violenza del linguaggio con un uso davvero responsabile e consapevole delle parole.

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