Luce Irigaray: ritorno alla natura | Giulia
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Luce Irigaray: ritorno alla natura

'Non si confonda il processo economico della globalizzazione con l''annullamento delle differenze fra le culture di Oriente e Occidente. Intervista a Luce Irigaray.[Maria Piacente]'

Luce Irigaray: ritorno alla natura
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15 Marzo 2012 - 11.34


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Luce Irigaray è filosofa, psicoanalista e linguista, direttrice di ricerca in filosofia presso il Centre National de la Recerche Scientifique di Parigi. Ha una formazione multidisciplinare che lega filosofia, linguistica, psicologia e psicoanalisi. È una delle pensatrici più influenti degli ultimi decenni soprattutto in relazione alla riflessione sul tema delle differenze di genere. Delle sue opere più recenti ricordiamo “La via dell”amore” (Bollati Boringhieri, 2008), Condividere il mondo (Bollati Boringhieri, 2009) e “Il mistero di Maria” (Edizioni Paoline, 2010).

Molto importante nel suo percorso, non solo professionale, ma anche individuale è stato l”avvicinamento alla cultura orientale e, in particolar modo, alla pratica dello yoga, che la accompagna da più di trent”anni. È proprio la riflessione sullo yoga, come elemento fondamentale della sua vita privata, incontrato un po” per necessità in seguito ad un incidente, il punto da cui la filosofa prende le mosse per sviluppare “Una nuova cultura dell”energia. Al di là di Oriente e Occidente”; libro pubblicato nel 2011 in Italia da Bollati Boringhieri. Nel suo testo lei sostiene l”importanza del mantenere in relazione il corpo e lo spirito. Ne dovrebbe derivare uno stile educativo da proporre anche ai bambini piccoli. Come è possibile secondo lei sensibilizzare le scuole in questa direzione?

Generalmente l”obiettivo dell”educazione è di padroneggiare la natura e il corpo attraverso un dominio repressivo piuttosto che educarlo a una condivisione con l”altro. Ora condividere con l”altro nel rispetto delle nostre differenze necessita di una cultura corporea: dell”educazione degli istinti e pulsioni a rinunciare all”immediatezza della loro manifestazione e a una soddisfazione solitaria per arrivare a uno scambio con l”altro. La spiritualizzazione del corpo può avvenire attraverso la relazione con l”altro rispettato come altro. Piuttosto che reprimere l”energia si tratta di educarla verso la condivisione. Una condivisione che, d”altronde, richiede una coltivazione delle percezioni sensibili non soltanto come strumenti al servizio della mente, ma come un mezzo di avvicinarsi all”altro in un modo globale che sia realmente umano. In quel caso, lo sguardo non serve più soltanto a percepire qualcosa per riconoscerlo, nominarlo e parlarne con adeguatezza, ma è un modo sensibile di avvicinare l”altro come un essere vivente di cui dobbiamo rispettare il mistero, l”irriducibile alterità, e che si tratta di contemplare più che afferrarlo(a) o denudarlo(a) con gli occhi. E la mano dovrebbe essere educata a toccare o accarezzare l”altro piuttosto che agguantarlo(a) o possederlo(a). Queste cose potrebbero essere imparate a scuola come un indispensabile elemento della cultura.

Nell”attuale società sembra sempre più difficile vivere l”hic et nunc; siamo sempre proiettati verso un futuro, un altrove. In che modo lo yoga ci può consentire l”unità e l”armonia con noi stessi?

Lo yoga è una pratica al contempo corporea e spirituale che ci riconduce a noi stessi in modo odierno nonostante tutto ciò che ci attrae fuori di noi. L”unità di noi stessi si realizza attraverso una pratica del respiro che spiritualizza il corpo stesso e aiuta la concentrazione. Il praticante dello yoga conosce anche il prezzo di un silenzio che risulta dalla possibilità di giungere a un raccoglimento di sé che riesce a liberarsi dalle preoccupazioni quotidiane e dal rumore del mondo. Chi fa lo yoga ogni giorno a poco a poco torna a sé e scopre lo stare qui e ora in sé, con sé come la fonte da dove nascono le decisioni, i gesti, le parole e il modo di relazionarsi con l”altro, gli altri e il mondo. Questi da allora non ci tirano più fuori o non ci invadono più dentro, ma approfittano della nostra cultura interiore e ne vengono anche loro modificati.

Quali sono gli elementi della cultura orientale che andrebbero presi in considerazione nella cultura occidentale per imparare a rispettare l”altro pienamente, in quanto altro da sé?

Respirare in modo conscio e coltivare il proprio respiro permette di acquistare una reale autonomia senza dipendenza dall”altro. Respirare da solo è il primo gesto che compie il neonato per assicurare la propria esistenza al di fuori dalla madre. Dovrebbe continuare a essere un gesto grazia al quale acquistiamo e manteniamo la nostra autonomia a tutti i livelli, una cosa necessaria per entrare in relazione con l”altro in quanto altro e pretendere di amarlo(a). Un altro punto importante è che la cultura orientale, perlomeno quella dello yoga, ha come primo imperativo: non nuocere, un imperativo che dovrebbe precedere quello di amare. Ora il non nuocere implica considerare l”altro nella sua differenza e non imporre a questo altro le nostre convinzioni, norme e modi di essere o di pensare. Un altro imperativo basilare è la compassione. Il compatire con l”altro equivale a stabilire con quest”altro un legame che impedisce di danneggiarlo(a) in ogni modo. Questo legame si estende a tutto il mondo vivente di cui si tratta di rispettare la vita e il modo di esistere, mantenendo una sorta di simpatia universale attraverso l”insieme dell”universo. Il rispetto della vita come tale e del corpo vivente è senza dubbio una via che ci porta a rispettare l”altro in quanto tale. Ad esempio, il rigetto di un individuo di un”altra razza risulta da una costruzione culturale che ha soppiantato la vita stessa e ci separa da un altro esser vivente. Peraltro, il fatto di abitare il proprio corpo ci consente un rispetto dell”altro differente da noi che elaborazioni culturali più allontanate dalla vita non ci permettono. Questi sono soltanto alcuni elementi della cultura orientale dello yoga che possono contribuire alla condivisione con l”altro in quanto altro.

Nel suo testo si fa anche riferimento al rapporto che l”uomo ha con la natura, al dominio che l”uomo esercita su di essa; pensa che un ritrovato rapporto con la natura più originario e rispettoso possa anche incidere sulle relazioni che l”individuo instaura con gli altri individui facendo sì che esse non siano improntate al dominio e al possesso?

Senza dubbio ritrovare un rapporto con la natura che sia fatto di rispetto, coltivazione, comunione e non di dominio e sfruttamento non può che migliorare le relazioni fra gli umani. Nella nostra epoca un ritorno alla natura è indispensabile per tentare di salvare il nostro pianeta, il nostro ambiente di vita e tutti gli esseri viventi che ne dipendono. Questo ritorno è necessario anche come ritorno a noi stessi in quanto esseri naturali per preservare la nostra vita, la nostra salute e ribasare le relazioni fra di noi a partire da realtà naturali – per esempio la differenza tra i sessi – e non da costruzioni che mirano a superare la natura in un modo diverso secondo le culture. La nostra appartenenza alla natura, la nostra identità naturale corrisponde a un dato universale che ci permette di condividere con qualsiasi umano e perfino qualsiasi essere vivente, quale che sia la differenza di tradizione, di cultura, di linguaggio fra di noi. Siamo sorelle e fratelli rispetto al mondo naturale, alla madre natura, e non è per un caso se le culture più vicine alla natura e alla madre hanno praticato una convivenza e un”ospitalità quasi spontanee come se facessimo tutte e tutti parte della stessa famiglia.

Quanto la globalizzazione, eliminando le peculiarità delle culture e assorbendole all”interno della sfera occidentale, può inficiare la relazione con l”altro dal momento che elimina ciò per cui esso si identifica come altro, le sue differenze, le sue specificità, la sua sfuggevolezza?

Non conviene confondere la globalizzazione come processo economico con l”annullamento delle differenze fra le culture. Certo esiste un rischio che l”economia e il denaro sostituiscano, almeno in gran parte, la cultura. Ma se fosse già così, non ci sarebbero conflitti e guerre tra popoli o nazioni per motivi culturali o religiosi. Ora ci sono, e dobbiamo sperare che non sarà il denaro che, solo apparentemente, riuscirà a superare questi conflitti e guerre, ma piuttosto una cultura ribasata sulla vita e il rispetto delle sue specificità. Da quel punto di vista, è molto importante costruire ponti tra le culture dell”Oriente e quelle dell”Occidente perché le prime hanno sviluppato una cultura della natura e possono ricondurci alle potenzialità delle nostre riserve naturali che spesso abbiamo danneggiato o delle quali ci siamo dimenticati a causa di una cultura che ha voluto superare la natura invece di coltivarla preservando i suoi potenziali per l”umanità.

In allegato la recensione di “Una nuova cultura dell”energia. Al di là di Oriente e Occidente”.

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