Intramoenia. La riffa per una mammografia | Giulia
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Intramoenia. La riffa per una mammografia

'Mesi di attesa per riuscire a trovare un posto. Con eccezioni. E'' poco gentile se invece di approfittarne racconto tutta la storia? Di [Sonia Oranges]'

Intramoenia. La riffa per una mammografia
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24 Aprile 2012 - 19.10


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“Vorrei prenotare una mammografia e un”ecografia mammaria. In intramoenia”.
“Mi spiace, ma le prenotazioni sono già chiuse. Richiami il mese prossimo”.

La scena si ripete oramai da gennaio. Per anamnesi familiare e per acciacchi dell”età, è bene che io non rinvii questo tipo di indagini. E preferisco farle al Fatebenefratelli, a Roma, dove la dottoressa cui mi rivolgo da privato (dunque, pagando) e i tecnici sono bravissimi. Peccato non sia altrettanto funzionale il sistema che organizza i loro appuntamenti. Tanto da far sì che da gennaio a oggi io non sia riuscita ancora a trovare un posto. Roba che se mi rivolgevo al servizio sanitario nazionale forse mi era andata meglio.

Funziona così: alle 7 del 20 di ogni mese si aprono le prenotazioni. Ovvero, la lotteria. Chi arriva prima, trova il posto. Bisogna attaccarsi al telefono anche per un”ora, in attesa, sempre che si abbia la fortuna di non trovare occupato, segno che il centralino è già intasato. Meglio sarebbe, suggeriscono allo stesso centro di prenotazioni telefonico (ma informalmente) presentarsi alle sette del mattino per avere maggiori possibilità di ottenere l”appuntamento. I posti, di solito, si esauriscono per l”ora di pranzo di quello stesso giorno. D”altra parte, sono appena trenta. E per chi è rimasto fuori, si procede con una lista d”attesa sul mese successivo? Nemmeno a parlarne. Chi tardi arriva, male alloggia e deve riprovare alla riffa del mese successivo. Sia quel che sia, salute o non salute.

Una mia amica è riuscita a ottenere l”agognato appuntamento, grazie alla collaborazione di sua sorella che, madre di bimbi piccoli, è spesso costretta in casa ma sveglia all”alba (la mia amica finisce di lavorare di solito a notte fonda), e alle sette del mattino, all”apertura della riffa, era già a telefono. Dopo un paio d”ore è riuscita nel suo intento. Io, però, non ho sorelle. E dunque, dopo l”ennesimo tentativo ad aprile, ho protestato ufficialmente che in un Paese vagamente civile, vista l”esiguità dei posti, forse sarebbe il caso di fare delle liste d”attesa, piuttosto che costringere i clienti (mediamente malati e per di più a pagamento) a sperare di arrivare prima del vicino malcapitato.

Al mio reclamo, sono seguite una serie di telefonate in cui persone non meglio identificate mi spiegavano che loro avevano ragione e che ero io quella nel torto. E che comunque potevo anche rivolgermi altrove. Eccerto. A loro ho spiegato che, visto che faccio la giornalista, quella storia l”avrei scritta. Perché d”interesse collettivo. E magicamente, a un certo punto, mi ha telefonato un “responsabile”. Non chiedetemi di che cosa. Il quale, dopo avermi spiegato le consuete ragioni dell”ospedale, si è preso le date delle mie mestruazioni per fissarmi l”appuntamento appena possibile. “In via del tutto eccezionale e vista l”urgenza clinica”.

Ho poco cortesemente, sì lo ammetto, declinato l”invito. Perché non sono più cittadina degli altri e perché chi ha l”ansia di queste analisi ha la stessa percentuale mia di ammalarsi. E per tranquillizzarci basterebbe darci una data possibile in cui verificare che non ci ammaleremo come le nostre madri, nonne, sorelle. Basta avere un”agenda un pochino organizzata.

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