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"No woman no panel": troppi uomini nei dibattiti

L'evento "Buone notizie: piu' voce alle donne" organizzato da DireDonne occasione per discutere sui "manel": e se noi giornaliste non partecipassimo, o se non ne dessimo più notizia? [Di Marina Cosi]

"No woman no panel": troppi uomini nei dibattiti
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Marina Cosi Modifica articolo

6 Dicembre 2019 - 23.42


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Un dibattito da manuale, ieri in sala Zuccari al Senato. Doveva essere la discussione del bel sondaggio su donne e media, commissionato da DiRe a Tecnè, ed in buona parte lo è stato anche (vedi Per gli uomini i media), ma subito l’attualità “no manel” ha preso il sopravvento. Ossia limitarsi a protestare contro i tavoli di discussione o di decisione composti da soli maschi? O rifiutarsi di parteciparvi (no women, no panel)? O minacciare “Allora non ne daremo notizia” (questo gli fa più paura, ma …)? Come far passare slogan quali, dico ad esempio: Eguale presenza eguale rappresentanza, ovvero Prendiamoci la nostra metà della torta

Antefatto: veniamo da un crescendo di proteste contro nomine a cariche, dibattiti tv, convegni, deleghe tutte e solo maschili, insomma da panel al puro testosterone. Con punte assurde come un dibattito bolognese sul pluralismo con 11 relatori solo maschi o come un tavolone istituzionale romano sulla violenza alle donne, però di soli uomini. Così ieri in Senato, al tavolo del dibattito, voluto e aperto dalla collega e deputata Sandra Zampa (ideatrice di DireDonna) e dalla vicepresidente del Senato Anna Rossomando, erano seduti due uomini (il caporedattore dell’agenzia stampa Nico Perrone che coordinava e il direttore della Stampa Gianni Riotta) e quattro donne (Laura Cannavò, Ilaria Sotis, Simona Sala e la sottoscritta).

Perrone aprendo i lavori sottolinea “noi uomini qui siamo in minoranza”, Riotta chiede una foto da mandare alla figlia, giornalista a Londra, che l’aveva rimproverato dopo averlo visto partecipare in tv a un manel, appunto). Si fa loro notare che: 1, se le donne fossero state due e quattro gli uomini loro non avrebbero certo sottolineato la disparità; 2, che sufficit rifiutarsi di partecipare. Va detto che i due colleghi hanno prontamente aderito garantendo che d’ora in avanti… A dimostrazione che ancora occorre gridare che il re è nudo perché molti ne abbiano consapevolezza.

Il tema si è imposto e sono piovute testimonianze e proposte. Laura Cannavò, News Mediaset, sottolineando come fossero quattro giornaliste NBC a moderare il dibattito fra i candidati democratici ha proposto, citata Lilli Gruber, di rilanciare un formale impegno. Ilaria Sotis, Gr Radio1Rai, con esempi che ricordano la durezza della battaglia: sino agli anni Settanta alla BBC erano vietate voci radiofoniche di donne “in quanto tali non autorevoli”, l’attuale analoga interpretazione tecnologica per cui “si parla a Siri come si parla agli schiavi”, il confronto Renzi/Salvini da Vespa con ospiti solo maschi (e qui ha sfondato una porta aperta, perché al solo citare la parola Vespa la sala rumoreggiava…).

Sandra Zampa ricordando come il patto fra donne sulla specificità fosse un progetto Dire già del 2007. Gianni Riotta riandando alle sue direttrici al Manifesto, Luciana Castellina e Rossana Rossanda e (citate le scurrilità dell’editore su Camilla Cederna) si è chiesto “perché imputare il cattivo carattere solo ad Oriana Fallaci e non ad esempio a Giorgio Bocca o Giampaolo Pansa?”. Con un appunto al titolo di un convegno Fnsi (L’informazione non è un algoritmo): “Ma certo che lo è! Gli algoritmi che selezionano ed aggregano le informazioni sono le opinioni dell’informatico e fra loro soltanto uno su cinque è donna”.

Simona Sala, Tg1Rai – spesa una parola di speranza poiché dal rifiuto di declinare “inviato” al femminile si è giunti alle quattro vicedirettrici del Tg1 – ha citato prima la bella inchiesta sul Corriere di Maria Silvia Sacchi, sulle amministratrici delegate, poi la risposta di Madame Curie post Nobel (Come si vive accanto ad un genio? “Non saprei. Chiedetelo a mio marito”), sottolineando come le icone contemporanee del cambiamento siano donne, Greta, Liliana Segre, Dafne Caruana… Anna Rossomando è intervenuta con una riflessione: occorre moltiplicare le “informazioni per”, poiché fintanto che i toni saranno violenti e le notizie, vere o presunte, soltanto “contro” allora avrà la meglio chi da sempre usa l’aggressività. Come strumento di potere – d’intimidazione o coercitivo o simbolico -, aggiungeremmo noi. Correttamente in linea anche l’intervento del sottosegretario all’editoria, Andrea Martella, che però si è dovuto allontanare prima che il confronto prendesse vigore…

Il bello è stato che il convegno è proseguito oltre, con moltissimi interventi dalla sala, poi sgombrata a fatica: Mi ricordo che…; Anch’io mi son sentita dire…; In Commissione europea vige già il No women no panel…; Dopo l’agguato dei terroristi sono stata accusata di aver cercato soltanto visibilità…; Oltre a Greta c’è Olga Misik che legge la Costituzione a Mosca…

Avanti così!

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Marina Cosi, autrice di questo articolo, faceva parte del panel dell’evento a Palazzo Giustiniani. Ecco come l’agenzia di stampa DIRE ha dato conto anche del suo intervento:

(DIRE) Roma, 5 dic. – “Come G.I.U.L.I.A. Giornaliste quando ci
arrivano le liste delle ospiti di un convegno con scritto
‘avvocato’ invece di ‘avvocata’ e ‘magistrato’ invece di
‘magistrata’, rispondo: qualcosa esiste laddove tu la nomini. Se
il mio nome e’ il tuo, io sono una tua appendice e io esisto in
quanto tu esisti. Su questo qualcosa sta cambiando, ma tenete
presente che dopo l’onda c’e’ la risacca. Ora e’ il momento della
risacca e quindi bisogna essere ancora piu’ determinati e lavorare
per togliere gli alibi”. Lo ha detto Marina Cosi, di G.I.U.L.I.A.
Giornaliste intervenendo all’evento in corso a Palazzo
Giustiniani a Roma ‘Buone notizie: piu’ voce alle donne’.

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