Rassegna sui generis: la settimana di notizie sulle donne (4 luglio-9 luglio) | Giulia
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Rassegna sui generis: la settimana di notizie sulle donne (4 luglio-9 luglio)

Una settimana di notizie sui media: come e quando si parla di donne? GiULiA prosegue con il suo osservatorio su giornali e web in ottica di genere

Rassegna sui generis: la settimana di notizie sulle donne (4 luglio-9 luglio)
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Barbara Consarino Modifica articolo

10 Luglio 2022 - 22.23


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Il Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa, Domani, Il Giornale, Il Manifesto, Il Messaggero, Il Fatto quotidiano, Avvenire, Il Sole24ore, La Verità, Il Qn, La Gazzetta dello Sport, Tuttosport e uno sguardo al web

Settimana dal 4 luglio al 9 luglio
Firme in prima pagina: 772 uomini, 206 donne
Editoriali e commenti: 160 uomini e 36 donne
Interviste: 222 uomini e 46 donne

Eccoci al quinto mese di guerra che arretra dalle prime pagine a quelle più interne in un movimento lento ma inesorabile, con servizi legati soprattutto alle conseguenze economiche del conflitto. Tornano titoli sul Covid, riprende campo la politica interna e con l’estate, il caldo, la siccità e soprattutto l’inflazione. Il tutto attraversato, per niente sotto traccia, da divisioni, astio, aggressività. Ne sa qualcosa la giornalista Selvaggia Lucarelli che si è permessa di criticare su Domani i taxisti per uno sciopero selvaggio, o Gaia Nanni, attrice fiorentina insultata pesantemente sul web per aver condiviso l’esperienza del suo aborto. 
Quel che continua, con assoluta coerenza, è la costante rarefazione delle firme femminili, soprattutto se parliamo di commenti e interviste. Prendiamo l’esempio della tragedia della Marmolada, strettamente legata ai cambiamenti climatici: sembra anche qui che i giornali, salvo rare eccezioni non conoscano l’esistenza di scienziate, climatologhe, glaciologhe e ambientaliste di cui dovrebbero essere ricche le nostre università e istituti di ricerca. Ma tant’è.

Foto Istat
Sempre più single e meno famiglie nelle complesse dinamiche demografiche italiane e sempre meno bambini. I nuclei con una sola persona sono il 33,2 per cento del totale, più delle coppie con figli. Un Paese che sta rapidamente invecchiando e questo lo sappiamo e che vede un futuro incerto, ma pure resiste alle sofferenze di questi ultimi anni e si adatta ai cambiamenti. Il rapporto annuale è ampiamente trattato su tutti i quotidiani anche se arriva nel giorno dell’omicidio dell’ex premier giapponese Shinzo Abe. La sola Repubblica non rinuncia a collocarlo nelle pagine di apertura e affida il commento a Linda Laura Sabbadini che all’Istat dirige il Dipartimento metodi e tecnologie. Tanti numeri, quelli della povertà e del lavoro sempre più precario, sono 5 milioni i lavoratori non standard, cioè a tempo determinato, sono soprattutto donne, giovani e stranieri. La forte inflazione degli ultimi mesi rischia di far crescere le disuguaglianze, soprattutto per le donne che hanno, scrive Sabbadini, problemi gravi di quantità di lavoro e di qualità. Metà delle donne non lavora e ciò si riflette anche nei rapporti di coppia. Le coppie non anziane in cui i partner lavorano sono meno della metà. E la cosa più grave è che negli ultimi vent’anni la situazione è rimasta la stessa per le donne dai 25 ai 44 anni. Senza autonomia delle donne, si domanda la studiosa e noi con lei, come cambieranno i ruoli nella coppia, come crescerà la condivisione, come si supereranno gli stereotipi?

Ma è davvero così difficile star meglio? In Spagna sono convinti del contrario, merito pure della ministra del Lavoro Yolanda Diaz, espressione di Unidas Podemos, autrice di una riforma contro il lavoro precario. Lo racconta lei stessa in una intervista a Repubblica uscita l’8 luglio. Qualche dato: nei nuovi contratti, quelli a tempo indeterminato sono passati dal 10 al 48 per cento; un cospicuo aumento dei salari aveva l’obiettivo di combattere la povertà e ha dimostrato di essere utile anche contro il divario di genere. Come l’hanno presa le aziende? «Direi bene- risponde Diaz – stiamo dimostrando che l’assunto di partenza del dibattito era falso, ovvero che non ci potessero essere maggiore stabilità e maggiori diritti, specie in due grandi settori come il turismo e l’agricoltura. Invece i dati ci dicono il contrario: i nuovi contratti aumentano e questo anche nei settori stagionali, grazie ai contratti discontinui, ma stabili. Un lavoro di qualità è un bene per le aziende stesse, il lavoro precario rende anche le imprese precarie».

La ministra del lavoro Yolanda Diaz con il collega italiano Andrea Orlando e il commissario europeo Nicolas Schmit

Anche Avvenire ci racconta una storia di lavoro possibile sia pure in piccole dimensioni realizzata dall’imprenditrice colombiana Catalina Girald fondatrice di un’azienda che produce lingerie alla moda per tutte le taglie, oltre la dittatura di Victoria Secret. La fabbrica è a Medellin, ci lavorano mamme single con orari flessibili e un welfare aziendale che sostiene anche i figli. Quindi con buone idee lavorare meglio è possibile.

Diritti
Malgrado le gaffe, il presidente Usa Joe Biden sta cercando in ogni modo di arginare l’offensiva antiabortista che sta portando a situazioni drammatiche e paradossali. Lo ha fatto firmando un ordine esecutivo indirizzato al Dipartimento della Sanità per facilitare il ricorso alle pillole abortive già autorizzate dalla Food and Drug Administration e consentire l’assistenza sanitaria alle donne in situazioni di emergenza. Il presidente non può far molto altro e lo ha detto lui stesso: la via più rapida per restituire questo diritto alle donne è l’approvazione al Congresso di una legge in materia. Il Manifesto ci informa anche della possibilità di cliniche mobile per aiutare le donne ai confini degli stati antiabortisti. Nel frattempo le donne si organizzano come si faceva negli anni ’70: Women on the web, per esempio, è un’organizzazione internazionale che fornisce supporto online per l’aborto farmacologico autogestito e sicuro. Ma ci sono tante altre associazioni che garantiscono aiuto alle donne. La mappa, realizzata da Eleonora Cirant, si trova sul Fatto quotidiano online. Intanto il Parlamento europeo ha dato il via libera alla risoluzione in cui l’Eurocamera chiede di inserire l’aborto nella carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Hanno votato contro gli europarlamentari di Lega, Forza Italia e Fdl.  Domani pubblica i nuovi dati sull’aborto in Italia, in calo costante e insomma da parte dei giornali notiamo più attenzione e questo va sempre bene.  

Giustizia
Nella settimana arrivano varie notizie da tribunali e procure. Per esempio la Procura di Rimini ha chiesto di archiviare l’unica denuncia per molestie relativa all’ultima adunata degli alpini. Impossibile identificare gli autori dell’aggressione alla ragazza che ha avuto la forza di parlare, anche se non è stata creduta. La notizia la leggiamo sul Qn, con la reazione dell’Ana, l’Associazione nazionale alpini che minaccia a sua volta querele e un duro commento di Viviana Ponchia: «Quanti passi indietro siamo disposti a  fare rinunciando allo logica del branco? E come dare torto a chi continuerà a prendersi pacche nel sedere senza denunciare un bel niente, tanto valgono più le telecamere della mia parola?». Dove ci sono telecamere, infatti, arrivano pure le richieste di rinvio a giudizio. Su Repubblica di sabato la notizia relativa alla vicenda di Greta Beccaglia, la giornalista sportiva palpeggiata da Andrea Serrani, un tifoso della Fiorentina, all’uscita dello stadio di Empoli. Violenza sessuale, dice il capo d’accusa e sarebbe un po’ difficile sostenere il contrario, visto che l’aggressione è avvenuta in diretta tivù. Ma se non ci fossero state le telecamere? 

Comunque, malgrado si sia aperto un dibattito tra garantisti e non sull’argomento sentenze di assoluzione soprattutto per reati sessuali, dovrebbe essere chiaro a tutti che non sono le decisioni dei giudici sull’interpretazione dei fatti a fare scalpore ma le parole usate per motivarle: ne abbiamo un esempio dalla Corte d’Appello di Torino che ha ribaltato la sentenza di condanna di un uomo per la violenza su una ragazza. Nell’assolverlo i giudici di secondo grado osservano che la vittima «un po’ sbronza e assalita dal panico potrebbe aver dato speranze al coetaneo, lasciando socchiusa la porta del bagno in cui sarebbe stata poi violentata, un invito a osare che lui non si sarebbe fatto ripetere». Quanto alla cerniera rotta del jeans che la ragazza indossava non sarebbe da considerare, di per sé, un segno di violenza, ma potrebbe essere stata una forzatura dettata «dall’esaltazione del momento e magari dalle caratteristiche della cerniera, non proprio di ottima qualità». Un linguaggio che ha lasciato basito persino il difensore del presunto violentatore, soddisfatto per il suo assistito, ma un po’ sorpreso da alcuni passaggi della motivazione, «non necessariamente condivisibili». La procura intanto farà ricorso in Cassazione. L’argomento è stato ripreso da tutti i giornali, a cominciare dalla Stampa. Il Fatto quotidiano di sabato dedica una paginata alle sentenze celebri nei processi per violenza sessuale, a partire da quella  Cassazione che, nel lontano 1999, consacrava la funzione antistupro dei jeans che non potevano essere sfilati senza il consenso della vittima. Sentenza poi contraddetta anni dopo da un altro collegio della Suprema Corte, dove si specificava che il jeans non può essere paragonato a una cintura di castità. Il Fatto ricorda che il linguaggio di certe sentenze sia stato pure condannato dalla Cedu, Corte europea per i diritti dell’uomo, cui fece ricorso la vittima di una violenza di gruppo, offesa dalle parole dei giudici che avevano posto pesanti ipoteche sulla sua moralità. 

Il tema del consenso lo ritroviamo com’è ovvio anche alle udienze del processo a Tempio Pausania a Ciro Grillo e altri suoi amici, imputati per violenza di gruppo nei confronti di una ragazza durante una vacanza in Sardegna. Su di lei si sono accaniti molti media, mettendo in piazza intercettazioni e messaggini, una forma di discredito preventivo: nel numero di sabato della Verità si è andati ben oltre, con la pubblicazione anche di una foto della ragazza pur con il volto pixellato, ma ben riconoscibile. Ci chiediamo: c’era bisogno di mettere una foto di lei in pagina? E questi messaggini pubblicati aggiungono qualcosa alla conoscenza del lettore o servono solo a mettere in dubbio l’attendibilità della giovane donna? 

E, a proposito di riservatezza, la Terza sezione civile della Corte di Cassazione che con una sentenza depositata proprio in questi giorni ha rigettato il ricorso presentato dall’editore di un quotidiano calabrese, confermando così la condanna al risarcimento dei danni in favore di una mamma per diffamazione a mezzo stampa. La testata – un quotidiano locale a diffusione regionale, scrive Camilla Curcio sul Sole24ore – aveva pubblicato un articolo sulla gravidanza di una donna di 55 anni, contenente dettagli strettamente personali e informazioni sanitarie, risultate peraltro non verificate e non veritiere, compresa la divulgazione di immagini del neonato e le sue generalità senza il consenso dei genitori, come previsto tra l’altro dalle regole deontologiche dei giornalisti (articolo 2 della Carta di Treviso sui minori).    confermando così la condanna al risarcimento dei danni in favore di una mamma per diffamazione a mezzo stampa. La testata – un quotidiano locale a diffusione regionale, scrive Camilla Curcio sul Sole24ore – aveva pubblicato un articolo sulla gravidanza di una donna di 55 anni, contenente dettagli strettamente personali e informazioni sanitarie, risultate peraltro non verificate e non veritiere, compresa la divulgazione di immagini del neonato e le sue generalità senza il consenso dei genitori, come previsto tra l’altro dalle regole deontologiche dei giornalisti (articolo 2 della Carta di Treviso sui minori).   

Sport
In un quadro sempre molto carente, ci volevano gli Europei di calcio femminile perché i giornali (generalisti e sportivi) si accorgessero che esiste anche uno sport al femminile fatto anche di grandi successi e di belle storie. Così, complice la rassegna europea, i lettori hanno finalmente potuto conoscere più da vicino le protagoniste del torneo, soprattutto le nostre punte di diamante con in testa la capitana Sara Gama (nella nostra foto di apertura) e le attaccanti Bonansea e Girelli. A parte qualche evitabile scivolone (per esempio le numero uno chiamate sempre il portiere) per il resto si sono letti articoli mai irrispettosi, in cui non si è troppo indugiato sul gossip e il privato delle protagoniste. Per il resto, esclusa qualche rarissima eccezione, si è continuato nel solito imbarazzante disinteresse per tutto ciò che attiene allo sport femminile. Anche le firme femminili rappresentano all’interno dei giornali una costante rarità, ribadendo ancora una volta come lo sport (addirittura più della politica e dell’economia) rappresenti un campo minato per le donne. E un muro da abbattere. Ma qualcosa si comincia a intravedere, per esempio la bella presentazione, apparsa sulla Gazzetta dello Sport della prima arbitra in Serie A, Maria Sole Ferrieri Caputi, (intervistata anche sul Qn) che si augura di aver indicato una strada a tutte quelle ragazze che hanno la sua stessa passione, lei che avrebbe voluto giocare al calcio, ma non lo ha potuto fare per l’opposizione dei genitori e, sullo stesso quotidiano, una pagina dedicata a Barbara Bonansea, leader della Nazionale di calcio femminile che ricorda il suo gol all’Australia il 9 giugno 2019 quando l’Italia scoprì il calcio in rosa.     

Questa rassegna è un lavoro di squadra. Grazie quindi a Caterina Caparello, Gegia Celotti, Laura Fasano, Paola Rizzi e Luisella Seveso che anche questa volta si sono prodigate con le loro segnalazioni.

Buona lettura e buone vacanze.

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