Young adult sul lettino della psicoterapeuta | Giulia
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Young adult sul lettino della psicoterapeuta

'Il film con Charlize Theron nei panni di una ghost-writer letto attraverso la lente psicologica: l''illusione di identità e la solitudine. Di [Patrizia Vincenzoni]'

Young adult sul lettino della psicoterapeuta
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25 Marzo 2012 - 16.13


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“Young adult” affronta alcuni temi e problematiche estremamente attuali che occupano una giovane donna impegnata in un processo di soggettivazione, di separazione-connessione e differenziazione da l” Altro. Separazione che però ha prodotto più che altro un”illusione d”identità, vissuta in modo ambivalente, espressa anche attraverso una ”vestizione” del corpo femminile che lo lascia come sospeso in una costante dimensione di indefinitezza e ambivalenza psichica.

La difficoltà di ”incarnarsi”, di abitare se stessa è sottolineata da paesaggi umani e sociali che si offrono allo sguardo come scenari desertificati, città che appaiono a loro volta disincarnate, con supermercati e locali quali spazi fisici simili a moderne agorà nelle quali però le presenze umane e le possibilità di dialogo sono sostituite da sembianti e da oggetti solo funzionali a un iper-consumo degli stessi. Il viaggio di ritorno che Mavis, la protagonista, decide di compiere è, in sostanza, determinato dalla improvvisa e consapevole percezione della vuota solitudine nella quale vive.

E” la solitudine dell”assenza dell”Altro, sostituita con sintomi alcoolici, da rapporti precari e casuali con uomini. Anche il lavoro di ghost writer per una collana di libri per ragazzi, pubblicazioni che si avviano verso la chiusura definitiva, non le permette di assumere in modo chiaro la sua identità. Incontriamo questa donna trascinarsi in una quotidianità ritualizzata, dispersa in un anonimato che è attributo anche del contesto in cui vive, inconsapevolmente impegnata a ridurre lo spessore temporale facendolo coincidere con il visibile, consumando esclusivamente nella realtà materiale la sua consistenza.

Tempo che si ripete uguale a se stesso, senza circolarità e senza pensabilità, nel quale l”assenza di presenza e vicinanza dell”altro costituisce l”elemento drammatico delle realtà relazionali narrate. Temporalità che viene tagliata dalla improvvisa presenza del volto di una bambina riprodotto su una fotografia, figlia di un uomo con il quale la protagonista ha vissuto anni prima una importante storia sentimentale, nella cittadina del Minnesota dove è nata e che ha lasciato già da anni.

Questa immagine, da subito, raccoglie memorie frammentate, bisogni di ricostruire e dare senso alla propria vita sentita incompiuta e dissociata dal significato originario del trasferimento nella grande città che aveva, probabilmente, determinato quella scelta. E” l”essere del soggetto che manca, la coerenza del suo ”essere nel mondo” e che questa donna immagina di ”ritrovare” tornando nella città d”origine, fantasticando in modo iterativo e solitario di riprendere quella relazione, nonostante la realtà sanzioni un cambiamento irrevocabile della vita e delle prospettive di quello che era stato il fidanzato ai tempi del liceo: Buddy. Le transizioni, come le transazioni, in effetti, sono sempre attraversamenti di luoghi e tempi relazionali, passaggi di gruppo, intesi anche come gruppalità interne.

Avere significato partendo dall”amore dell”altro verso di noi: ritroviamo tale spinta a intraprendere questo ritorno dopo quello che sembra essere uno dei tanti incontri nei quali,facendo sesso, si consuma l”impossibilità di far posto a se stessa – al partner e cioè all”Altro- lasciando che il rituale dell”incontro copra il sentimento depressivo di sé. Anche in tal senso l”abbigliamento di cui Mavis si riveste sembra una bandiera identitaria che illusoriamente la mette al riparo dal rischio dell”esistenza e dall”assunzione del proprio desiderio. Questo film mette in scena un disagio contemporaneo che attraversa la nostra civiltà, disagio che viene vissuto inconsapevolmente anche dagli altri personaggi che incontriamo, i quali sembrano vivere un”esistenza che appare, in definitiva, un falso adattamento, una fuga in una normalità senza ideali e passioni.

Anche la comunicazione interpersonale è come pietrificata, negante la presenza perturbante dell”Altro, le emozioni assenti e congelate, vissute esclusivamente sul piano cognitivo, fino a farne una modalità di insegnamento verso i bambini, così come è nel lavoro della moglie di Buddy. Alcuni scambi verbali in casa dei genitori mostrano come le emozioni, gli affetti, non possono essere colti ed assunti. L”assenza di responsività del contesto familiare rispetto all”angoscia traumatica che Mavis prova ad esprimere, la riporta in una dimensione psichica nella quale il bisogno di sentirsi desiderata e amata è in realtà senza interlocutori, isole ”autistiche” anch”essi.

L”incontro con Matt, che si verifica appena tornata nella città d”origine, è significativo rispetto alla possibilità di essere vista : questo ex compagno di liceo si ricorda di Mavis : egli è una ” immagine-corpo” tragica della violenza subita, indirizzata contro ogni idea possibile di diversità, di tensione conoscitiva verso ciò che non conosciamo,. Con lei è in risonanza per ciò che riguarda l”esperienza dell”essere chiusi ”… in una capsula del tempo…” per sopravvivere. Il rapporto con Matt la rende visibile e le ripropone, nello stesso tempo, l”impossibilità del raggiungimento di una rappresentazione e un sentimento di sé stabili, per superare quelle sensazioni di ”nientificazione” di sé stessa che la attraversa: la citazione di Sylvia Plath che questi le indirizza sembra alludere a ciò.

Quello che avrebbe potuto essere il viaggio inteso in senso trasformativo se reso simbolicamente tale, si risolve invece in una messa in atto di agiti di un bisogno, per cui il ricollocarsi nella fase iniziale di quello che era stato il progetto -che è anche relazionale- non può completarla, trasformarla. Lo svolgersi drammatico degli eventi vede la protagonista confrontarsi con il suo bisogno illusorio di essere accolta e di essere amata attraverso un”esperienza traumatica. Questa è tale anche perché quel contesto relazionale e ambientale è così mistificante e angoscioso, violento nella sua paradossale inermità, contenendo individui incapaci di accedere alla dimensione affettiva e simbolica per accogliere e donare senso all”esperienza in atto nel contesto relazionale stesso.

Quest”ultimo vede la protagonista confrontarsi con il suo bisogno illusorio di essere accolta e di essere amata. La vediamo psicologicamente spogliata di ogni difesa di fronte agli altri, testimoni questi senza parola, affettivamente lontani e totalmente inerti innanzi al dolore emotivo, incapaci di accogliere e donare senso all”esperienza in atto nel contesto relazionale. Alla fine di questo ”viaggio” possiamo intuire che questo duro confronto con la realtà e con sé stessa resta ancora insoluto, essendo non accettate del tutto le eventuali indicazioni al cambiamento di sé, ma continuando a muoversi in una zona grigia, ambivalente riduttivamente duale. Ciò suggerisce una riflessione che riguarda i pregiudizi contenuti nelle rappresentazioni socio-culturali che ritraggono la donna troppo spesso vincolata a ruoli e funzioni definiti in modo dicotomico e quindi incapaci di dare spazio agli stati di ambivalenza psicologica vissuti nell”esperienza -anche quotidiana- dell”essere donna, non rispondenti, questi, alla logica degli stereotipi culturali.

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