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Per riflettere, per non restare in silenzio e condividere la rabbia ed il dolore: la lettera della collega Annamaria Minunno, cugina di Anna Costanzo la truccatrice di scena del Teatro Petruzzelli crudelmente uccisa a Bari nell”Agosto del 2009 dal suo ex fidanzato.Annamaria si rivolge ai Giudici della I Sezione della Corte di Assise di Appello di Bari all”indomani della pubblicazione delle motivazioni della sentenza che ha ridotto la pena di Alessandro Angelillo da 30 a 16 anni e sei mesi. Lei parla anche a nome di tutto il resto della sua famiglia ma anche di chi chiede interventi credibili che consentano di contrastare la “strage di donne” che si consuma nel nostro Paese ormai quotidianamente. La legge sullo stalking c’è ma non ci sono gli strumenti per applicarla.
Ai Giudici della I sezione della Corte di Assise di Appello di Bari
Mia cugina Anna è stata sorpresa di notte.
E’ stata prima picchiata (sulle braccia e sulle mani c’erano degli ematomi e anche sul volto vicino alle labbra), poi è stata colpita alla testa con una statuetta, subito dopo strangolata ed infine annegata.
Una fine orribile in ogni caso.
Una fine che nessuno si augurerebbe per sé o per un suo conoscente, un suo familiare. Una fine ancora più orribile se si pensa che tra il tentativo di strangolamento e l’annegamento mia cugina Anna era ancora viva, respirava a fatica perché il tentativo di strangolamento le aveva ostruito le vie respiratorie ed era un soggetto allergico ed asmatico, ma era viva.
Forse in stato di incoscienza, ma viva.
O forse cosciente di quanto le accadeva attorno.
Viva.
E’ stata uccisa nella notte tra il 10 e l’11 luglio 2009. Nella sua casa. In quello che doveva essere un rifugio e che invece per lei si è rivelata una trappola. Quella mortale. Quella che non ti da scampo. Quella che non ti aspetti.
E’ stata uccisa di notte in quella porzione di ore in cui tutto è fermo, in cui dici a te stessa che sei pronta per concludere una giornata e per iniziarne un’altra con la stessa forza di volontà del giorno precedente.
Per lei quella giornata non è mai iniziata.
E non è successo perché una persona, già condannata a 30 anni in primo grado, ha deciso che doveva punirla perché lei voleva interrompere la loro relazione, perché lui pensava che avesse una nuova relazione, perché secondo quanto da lei scritto nelle motivazioni della sentenza di secondo grado Anna era per Alessandro Angelillo il suo sostegno psicologico, la persona a cui chiedere aiuto nel momento del bisogno.
Solo che quando ha avuto bisogno mia cugina di un aiuto da parte di Angelillo, che avrebbe potuto ravvedersi dal suo intento omicida, questo non è avvenuto.
Anzi.
Ha infierito sul suo corpo e sulla sua moralità senza alcun freno. E questo “solo” perché mia cugina avrebbe voluto interrompere una relazione malata che non è mai stata esclusiva, con una persona che per anni ha avuto una storia parallela e che in questa situazione viveva benissimo visto il suo egoismo ed il suo egocentrismo. Una persona che ha negato per tre anni di averla uccisa, che si è inventato di tutto e che la mattina del ritrovamento faceva la vittima ed il fidanzato disperato. E la recitava benissimo quella parte addirittura facendo finta di non riconoscere gente che lo ha avuto intorno per anni. E quando uso “intorno” lo faccio con tutto il fastidio possibile.
I 30 anni sono diventati 16 in secondo grado, perché il suo atteggiamento la notte dell’omicidio è stato considerato NON crudele.
Io non sono un tecnico, desidererei che voi giudici mi spiegaste come si misura la crudeltà perché Alessandro ha ucciso Anna fisicamente ed ha cercato di farlo anche moralmente mettendo su la messinscena di un”orgia non consumata.
Cos’altro doveva fare per risultare crudele? Lo chiedo a me e lo chiedo a voi che rappresentate la giustizia di uno Stato in cui é difficile credere ancora.
Leggo che Alessandro poteva non essersi reso conto che Anna fosse viva tra lo strangolamento e l’annegamento, e così l’annegamento e l’aver tenuto schiacciata la sua testa nell’acqua poteva solo far parte della messinscena e poteva non costituire un ulteriore “patimento” per la vittima forse già morta.
Ma mia cugina non era morta, ancora, e aveva difficoltà a respirare. Ci pensate? A tutto il tempo che l’ha tenuta sott’acqua e alla sua difficoltà a respirare la stessa acqua che le avrebbe permesso di morire più velocemente? E’ una morte atroce no?
Leggo inoltre che anche se lui si fosse reso conto che era ancora viva, spingerle la testa nell’acqua e tenerla lì, ferma, secondo quanto scritto nelle motivazioni non costituirebbe crudeltà perché lui aveva deciso di ucciderla così.
Una giustificazione dietro l’altra per ogni comportamento tenuto da Angelillo. Finanche per la ricostruzione dell’orgia, per la sistemazione dei preservativi sul letto (uno aperto e due chiusi), per averla svestita e fatta trovare così a chi preoccupato è andato a cercarla a casa.
Mi chiedo e vi chiedo: ma se io sono una persona onesta e non ho la freddezza che può portarmi ad immaginare sofferenze simili per una persona, se mi capitasse di ucciderne una in un raptus verrei presa dal panico, non saprei che fare, non avrei la lucidità di riempire la vasca da bagno (fissando un disco d’acciaio – che non era un tappo perché mia cugina preferiva fare la doccia – con del nastro adesivo), non avrei la lucidità di portare via il computer con il quale ero stata su Facebook (sul profilo di Anna) per diffamarla, non avrei la lucidità di sistemare la scena della camera da letto, di metterla in posizione e poi di ricordarmi di sollevare la porta di casa per fare in modo che nessuno mi sentisse perché la porta della casa di Anna aveva un difetto e dovevi stare ben attento a sollevarla per chiuderla senza far rumore.
E se io avessi ucciso una persona, sempre colta da un raptus, avrei dovuto mantenere la calma per pensare tutto questo in una manciata di minuti. Ma una persona onesta viene presa dal panico. Una persona onesta. Non lui.
Gridava di amarla la mattina dopo mentre faceva gli scalini a tre a tre per salire in quell’appartamento che aveva lasciato qualche ora prima, la “mia Anna” diceva. E quando usava “mia” lui lo faceva con tutto il senso di una persona ammalata di possesso. Noi familiari l’abbiamo capito subito quella mattina. Avevamo avuto qualche sospetto prima. Anna purtroppo aveva iniziato a capirlo soltanto gli ultimi tempi.
E allora, sigg.ri Magistrati, sigg.ri tecnici, vorrei che mi spiegaste come si fissa il concetto di “crudele” perché un omicidio è già di per sé crudele. Come si misura la crudeltà, in litri, in chili, in numero di coltellate, di pugni, di torture, in cosa?
Lo capirei se mi deste una giustificazione oggettiva. Ma così non lo capisco. Capisco invece che chiunque abbia compiuto un femminicidio può essere giustificato dal senso di abbandono, dalla rabbia di aver perso una persona cara (ma era più cara Anna o l’altra ragazza cui lo stesso giorno dell’omicidio aveva detto “amo solo te”?), può essere giustificato dal non essere un medico-legale e dunque dal non capire le condizioni della vittima man mano che si va avanti con i “patimenti”, si dice così no?
Io capisco soltanto di non vivere in un Paese civile. Un Paese che non garantisce le donne, un Paese che ha abolito il delitto d’onore, ma che in pratica lo mantiene ancora vivo.
Per i familiari della vittima non finisce mai nulla. Angelillo tra buona condotta e permessi vari sarà fuori tra una decina d’anni e avrà tutta la vita davanti. Quella che ha tolto ad Anna.
Per gente come Angelillo non esiste neppure la sofferenza del rimorso. Anche il suo pentimento in aula, il “pentimento tardivo” prima della Camera di Consiglio, quando ha detto che avrebbe dato la sua vita “per quella della Costanzo”, faceva parte di una recita.
Applausi.
In fede
Annamaria Minunno
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