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Ada Gobetti giornalista, il linguaggio “social” prima dei “social”

Il nuovo libro di Emanuela Banfo “PAM, CROAK, UGH!” racconta l’impegno nella Resistenza e nella vita politica dell’Italia del dopoguerra

Ada Gobetti giornalista, il linguaggio “social” prima dei “social”
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16 Maggio 2019 - 22.28


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di Stefanella Campana

E’ un titolo insolito, quasi l’esordio di un’opera lirica, quello dato al nuovo libro di Emanuela Banfo, pubblicato dal Centro Studi sul Giornalismo Gino Pestelli, che ripercorre attraverso un’interessante documentazione il lavoro giornalistico di Ada Gobetti: dalle riviste gobettiane del marito Piero (morto a soli 25 anni, antifascista esule a Parigi) negli anni Venti del Novecento, poi Noi donne, L’Unità e il Giornale dei Genitori, fino alla sua morte nel 1968. E’ una donna con grande personalità, figura di spicco impegnata nella Resistenza e nella vita politica dell’Italia del dopoguerra. Fu anche vice sindaco di Torino, la prima donna del dopoguerra a ricoprire tale carica, a 43 anni, da 8 anni sposata con Ettore Marchesini, tra i fondatori del Partito d’Azione. Un compito gravoso, in una Torino «semidistrutta, con servizi insufficienti, senza pane e senza case».

Ada Gobetti merita di essere conosciuta anche per i suoi articoli di critica letteraria, cronaca nera e di costume, analisi politica e attenzione ai cambiamenti sociali, alla scuola, ai giovani e alle donne, da cui emerge tutto il suo spessore culturale e umano. Emanuela Banfo (giornalista in diverse testate, dall’Unità a Repubblica e poi all’Ansa, impegnata nell’Ordine dei giornalisti del Piemonte e attualmente collaboratrice del magazine online Affari Internazionali) con molta abilità ripercorre in modo coinvolgente il patrimonio importante di esperienze vissute di Anna Prospero Gobetti Marchesini. Con spirito di servizio: «Lei ci teneva alle generazioni future. Ada amava i giovani….». Lo si evince anche da quanto scrive sul “Giornale dei Genitori”, il mensile da lei fondato nel 1959 e diretto fino alla sua morte.

Nell’esaminare il suo giornalismo «non si può prescindere da due fattori: essere lei una donna del Novecento ed aver sposato un’ideologia, quella comunista, in sé totalizzante per cui il giornalismo era uno strumento a servizio di una causa», avverte Emanuela Banfo. Ma è possibile una sintesi dicendo che ad Ada «non tanto interessava educare i lettori al comunismo, ma educarli e basta». Crede nella “diversità” delle donne, «una diversità fatta di pragmatismo, di solidarietà”, facendo riferimento alla sua partecipazione a Parigi alla Federazione democratica internazionale delle donne che «han giurato solennemente di lottare senza tregua per assicurare al mondo una pace duratura che impedisca il ripetersi degli errori». Ada Gobetti, una donna, una giornalista da conoscere meglio grazie a questo libro.

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