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Perché stiamo con Selvaggia Lucarelli

Deferita al consiglio di disciplina dell'Ordine dei giornalisti perché "nomina" pubblicamente il figlio. Lettera aperta di Cpo Fnsi e Usigrai e GiULiA contro l'uso strumentale delle norme deontologiche.

Perché stiamo con Selvaggia Lucarelli
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8 Luglio 2020 - 22.27


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Abbiamo il privilegio di essere testimoni del nostro tempo, e abbiamo dei doveri da rispettare. Un articolo nella prima parte della Costituzione che tutela l’informazione, e norme, e leggi, e sentenze che ci riguardano direttamente. Diritti e doveri delle giornaliste e dei giornalisti. E molti giudici a giudicarci.

 

In estrema sintesi quello che dobbiamo fare è buon giornalismo. Nel senso di usare il buon senso. E il buon senso da solo basterebbe a dire che non si scrivono cose non verificate, o che si tiene la penna leggera quando si trattano i “soggetti deboli”, quelli che non si possono difendere da soli, soprattutto migranti e bambini (non le donne, no: loro non sono soggetti deboli!).  Il testo unico dei doveri dei giornalisti è a garanzia di una corretta informazione e contiene la “Carta di Roma” per specificare bene che significa parlare di migranti; e la “Carta di Treviso” per tutelare i minori.

 

Questa lunga introduzione per dire che no, stavolta no che non siamo d’accordo che venga scomodata la Carta di Treviso contro Selvaggia Lucarelli. È vero, lei, la madre, ha dichiarato che suo figlio è suo figlio. E il figlio è un minore. E rivendichiamo quando ne abbiamo voglia di urlare i nomi dei nostri figli. E di essere loro accanto.

 

La cronaca ha raccontato – aggiungiamo, anche se non ci sembra questo il punto – che il ragazzo è stato identificato dalla polizia in una manifestazione, davanti a telecamere e a centinaia di persone, e che nome e video sono stati diffusi da siti e social, e solo dopo Lucarelli sarebbe intervenuta facendone (di nuovo) il nome.

 

Il buon senso, quello che ci fa essere testimoni del tempo, dice che siamo proprio fuori strada. Le norme, le leggi, i codici, servono a preservare l’integrità dell’informazione e di chi fa di professione di informare. Non possono trasformarsi in clava messa in mano a chi già attacca e imbavaglia l’informazione in mille modi, piegando leggi e norme per zittirci. Oltretutto utilizzare le norme deontologiche in modo strumentale rafforza le ragioni di chi ritiene che l’ordine sia un ente inutile.

 

E allora: no alle leggi bavaglio, no alle querele temerarie, no al carcere per i giornalisti, ma no anche ad un uso sfrontato delle nostre norme. Sennò non salveremo mai più questa professione.

Mimma Caligaris (presidente CPO Fnsi), Monica Pietrangeli (coordinatrice CPO Usigrai), Silvia Garambois (presidente GiULiA giornaliste).

 

 

 

 

 

 

 

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